martedì 10 febbraio 2015

Intervista ai Peter Kernel

Leggendo il curriculum di Barbara Lehnhoff e Aris Bassetti, transfughi nei territori musicali dopo esperienze in campi artistici ben più nobili e universalmente accreditati quali le arti visive, immagino che i Peter Kernel siano due intellettuali alteri che si dilettano con la musica ostentando una certa superiorità, nemmeno troppo ingiustificata. Perciò mi ritrovo spiazzata dalla semplicità disarmante con cui spiegano – nelle risposte di Barbara – la genesi del loro ultimo lavoro Thrill Addict e la genuina passione per la musica che ne ha innescato il concepimento, niente affatto secondaria rispetto alla loro formazione artistica principale.

Vi siete conosciuti alla Visual Communications and Design School di Lugano, dove Barbara si formava come filmmaker  nell’ambito dell’arte contemporanea e Aris, che già si occupava di musica, studiava grafica; le vostre prime collaborazioni sono nate contestualmente a installazioni di Barbara e a un suo cortometraggio, presentato anche al festival di Locarno. In che modo è avvenuto il passaggio dalle arti visive alla musica? È stata una trasformazione naturale, dovuta alla vostra curiosità di artisti, o piuttosto è stato un tentativo di cimentarsi con un campo per voi meno familiare? In che modo il processo creativo musicale differisce da quello visivo?  
Non c’è stato un vero e proprio passaggio dalle arti visive alla musica, sono semplicemente due mezzi che sfruttiamo tuttora per esprimerci. Magari è arrivato prima il video rispetto alla musica nel mio caso, ma era solo questione di tempo, siamo persone a cui non piace molto parlare, anzi a volte facciamo proprio fatica. A parte il fatto che io sono madrelingua inglese e faccio un po’ fatica con l’italiano, le immagini e i suoni mi permettono di modellare il mondo che mi sta attorno e di farmelo sembrare un po’ meno difficile. Non potremmo immaginare di fare solo musica o solo video o solo grafica, ci sentiremmo incompleti. In ogni caso, la musica era già intrinseca in tutto ciò che facevo nelle mie istallazioni interattive e nei miei cortometraggi, ma a un certo punto volevo farne di originale. Aris faceva l’assistente alla scuola di comunicazione visiva e non mi piaceva, ma quando ho sentito la sua musica ho pensato che mi sarebbe piaciuto collaborare con lui per un cortometraggio che stavo facendo. Lui aveva un gruppo con cui aveva già fatto tournée e aveva già una certa esperienza, quindi mi è sembrata la persona più adatta. Abbiamo iniziato a suonare tutte le sere, sempre di più, finché ci siamo accorti che avevamo in mano delle canzoni che reggevano anche senza le immagini, così le abbiamo testate dal vivo. Ed è lì che ho capito che dovevo fare anche musica. Stare sul palco è la cosa più bella del mondo; in un certo senso molto meglio che fare video.
Il processo creativo musicale è molto simile a quello visivo. È un processo molto lungo, Aris è molto maniaco e preciso. Io invece sono molto più immediata e in questo senso ci compensiamo bene. Prima di chiudere un pezzo, Aris deve suonarlo e arrangiarlo in tutte le salse e con tutte le variazioni possibili finché non si illumina quando sente la versione giusta. Delle volte schizza il brano in modo grafico su un foglio, altre volte ci immaginiamo delle scene che danno un'ambientazione al pezzo. Ad esempio per il brano Your Party Sucks ci immaginavamo un groove come quello di un cammello che cammina, in particolare pensavamo alle gambe di un cammello che cammina. Quando poi abbiamo deciso di fare il video musicale, non trovando un vero cammello, l'abbiamo girato con amico che fa speed walking che ha delle gambe lunghe e le ginocchia un po’ da cammello.
Peter Kernel non nasce solo da un’esperienza artistica condivisa ma anche, e forse in primo luogo, da un rapporto affettivo. Non è difficile e a volte rischioso avviare un progetto musicale all’interno di una coppia? Se ci sono stati Lux Interior e Poison Ivy o Johnny Cash e June Carter, ci sono anche Thurston Moore e Kim Gordon, e lo scioglimento dei Sonic Youth.
Spesso i gruppi si sciolgono per colpa di relazioni “pericolose”. Nel nostro caso è un rischio che ci assumiamo. Aris ed io facciamo tutto insieme, musica, video, grafica, management, l’etichetta. Siamo insieme 24 ore su 24 e stiamo lavoriamo circa 16 ore al giorno 7 giorni su 7 alla nostra musica e da circa 5-6 anni non andiamo in vacanza. Se non fossimo una coppia e dovessimo avere altri partner sarebbe insopportabile stare con noi. Se un giorno la nostra relazione dovesse finire, ci adatteremo alla situazione, magari continueremo a suonare insieme o magari no. Ci penseremo quando e se succederà.
Siete evidentemente dei temerari. Non solo siete una coppia nella vita e avete intrapreso un percorso musicale insieme, ma avete fondato anche una vostra etichetta – On the Camper Records – che si occupa anche di videoclip, grafica, design e oggetti di merchandise; com’è lavorare insieme nel campo della comunicazione promozionale? Pensate che altre band potrebbero trarre benefici dalle vostre competenze nel campo della comunicazione? 
È molto difficile lavorare sempre insieme, quando le cose vanno bene siamo tutti due felici nello stesso momento quando le cose vanno male siamo tutti due distrutti e non c'è mai nessuno a casa la sera che ti aiuta a tirare su il morale. In questo senso non ci si compensa. Viviamo le stesse emozioni nello stesso momento. Questa cosa ci obbliga ad avere molta disciplina nel mantenere la calma e l'autocontrollo. Poi d’altro canto è bellissimo sapere di avere accanto una persona sempre pronta a dare un secondo sguardo a quello che stai facendo, a mettere in discussione il tutto e a darti una mano. Nel nostro lavoro, questo è fondamentale.
Abbiamo fondato On the camper nel 2006 con lo scopo di aiutare gruppi che ci piacciono a suonare. La nostra filosofia è che per far sopravvivere un gruppo devi suonare il più possibile e avere un live che spacca. Con l'etichetta sfruttiamo le nostre competenze come grafici, fotografi e videomaker per dare ai nostri gruppi tutto il necessario per potersi promuovere e per riuscire a suonare il più possibile in tutta Europa. Poi quando abbiamo tempo e con progetti che ci interessano facciamo anche lavori su commissione: video musicali, grafiche per dischi o promozione.
Come se tutto questo non fosse sufficiente a dimostrare la vostra laboriosità e la natura dinamica delle vostre energie, vi siete dedicati anche a un side project orientato verso l’elettronica, i Camilla Sparksss. Volete dirci qualcosa in proposito?
Era da diversi anni che volevamo sperimentare con la musica elettronica, ma non ci siamo mai ritagliati il tempo per farlo. Poi un giorno eravamo in tournée in Francia con PK e stavo scaricando il mio amplificatore da basso, un Ampeg 810 per la ventesima volta in 20 giorni, avevo la schiena a pezzi (ho la scoliosi) e mi sono detta: basta, facciamo un progetto leggero. 

A quel punto è nata Camilla Sparksss. Come progetto per noi è molto più immediato rispetto a Peter Kernel. L'elettronica ci permette di provare mille varianti di ogni cosa velocemente e la forma che abbiamo scelto per il progetto ci lascia completa libertà. Con Peter Kernel vogliamo sempre riuscire a riportare in concerto tutto quello che è suonato e siamo solo tre musicisti sul palco, mentre con Camilla Sparksss dichiariamo di avere una base elettronica pre-registrata e questo rende il progetto senza confini.
Avete dichiarato di non avere una formazione musicale canonica: Aris ha ammesso di preferire l’aspetto istintivo a quello formale, mentre Barbara ha imparato a suonare il basso proprio grazie alla nascita della band; non temete che, privilegiando l’impatto emotivo e la spinta evocativa dei pezzi, gli aspetti tecnici possano venire relegati in secondo piano?
Ahaha sì, ci pensiamo ogni tanto; Aris suona la chitarra da 23 anni e io il basso da 11 anni e non è facile trovare gente che suona da così tanto tempo e così di merda. Ma la mancanza di tecnica non ci ha mai limitato in quello che facciamo, magari delle volte dobbiamo provare delle cose per ore e ore, spesso per riuscire a fare cantati su certe parti suonate, ma basta provare e alla fine riusciamo sempre a fare quello che vogliamo. 
Dopo un’embrionale esperienza come quartetto, vi siete stabilizzati in due, ricorrendo a batteristi reclutati quando necessario; non soffrite la mancanza di un batterista stabile, sia in fase compositiva che, con implicazioni pratiche più palesi, quando dovete cercarlo per i live?
Peter Kernel era nato in 2005 come trio, poi tra il 2008 e il 2010 eravamo in 4 poi di nuovo trio. Quando nel 2012 Aris e io abbiamo deciso di lasciare i nostri lavori per dedicarci completamente alla musica, l'unico modo per fare questo era di lavorare con diversi batteristi. In questo modo noi siamo liberi di confermare tutte le date che ci vengono proposte dai nostri agenti senza doverci preoccupare dell’agenda di una terza persona. Questa libertà è vitale per noi visto che sopravviviamo grazie ai concerti. Al momento lavoriamo con sei batteristi diversi. Certo, ci manca avere un batterista fisso soprattutto per la fase compositiva. Perché anche se Aris ha sempre scritto tutte le parti, anche di batteria, avere un batterista presente per poter provare suonando rende tutto più facile. Per l'ultimo disco ci siamo arrangiati in maniera molto artigianale. Io puntavo la batteria con un microfono e Aris suonava dei ritmi, dei passaggi o dei colpi singoli, poi montavamo insieme le parti per avere una bozza di ritmica. Solo prima di andare in studio a registrare ci siamo chiusi nella sala prove per due mesi a suonare i pezzi con un batterista, e questo ovviamente è stato fondamentale soprattutto per avere ritmiche naturali e scorrevoli.
In Thrill Addict c’è anche un brano improvvisato in studio, Tears don’t fall in space; qual è il motivo di questa scelta? Volevate rivelare anche il vostro lato più spontaneo e meno controllato?
È uscito così e ci piaceva. Quindi l’abbiamo messo sul disco. Semplice.

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