Leggendo il curriculum di
Barbara Lehnhoff e Aris Bassetti, transfughi nei territori musicali dopo
esperienze in campi artistici ben più nobili e universalmente accreditati quali
le arti visive, immagino che i Peter Kernel siano due intellettuali alteri che
si dilettano con la musica ostentando una certa superiorità, nemmeno troppo
ingiustificata. Perciò mi ritrovo spiazzata dalla semplicità disarmante con cui
spiegano – nelle risposte di Barbara – la genesi del loro ultimo lavoro Thrill Addict e la genuina passione per la
musica che ne ha innescato il concepimento, niente affatto secondaria rispetto
alla loro formazione artistica principale.
Vi siete conosciuti alla
Visual Communications and Design School di Lugano, dove Barbara si formava come
filmmaker nell’ambito dell’arte contemporanea e Aris, che già si occupava
di musica, studiava grafica; le vostre prime collaborazioni sono nate
contestualmente a installazioni di Barbara e a un suo cortometraggio,
presentato anche al festival di Locarno. In che modo è avvenuto il passaggio
dalle arti visive alla musica? È stata una trasformazione naturale, dovuta alla
vostra curiosità di artisti, o piuttosto è stato un tentativo di cimentarsi con
un campo per voi meno familiare? In che modo il processo creativo musicale
differisce da quello visivo?
Non c’è stato un vero e
proprio passaggio dalle arti visive alla musica, sono semplicemente due mezzi
che sfruttiamo tuttora per esprimerci. Magari è arrivato prima il video
rispetto alla musica nel mio caso, ma era solo questione di tempo, siamo
persone a cui non piace molto parlare, anzi a volte facciamo proprio fatica. A
parte il fatto che io sono madrelingua inglese e faccio un po’ fatica con
l’italiano, le immagini e i suoni mi permettono di modellare il mondo che mi
sta attorno e di farmelo sembrare un po’ meno difficile. Non potremmo
immaginare di fare solo musica o solo video o solo grafica, ci sentiremmo
incompleti. In ogni caso, la musica era già intrinseca in tutto ciò che
facevo nelle mie istallazioni interattive e nei miei cortometraggi, ma a un
certo punto volevo farne di originale. Aris faceva l’assistente alla
scuola di comunicazione visiva e non mi piaceva, ma quando ho sentito la sua
musica ho pensato che mi sarebbe piaciuto collaborare con lui per un
cortometraggio che stavo facendo. Lui aveva un gruppo con cui aveva già fatto
tournée e aveva già una certa esperienza, quindi mi è sembrata la persona più
adatta. Abbiamo iniziato a suonare tutte le sere, sempre di più, finché ci siamo
accorti che avevamo in mano delle canzoni che reggevano anche senza le
immagini, così le abbiamo testate dal vivo. Ed è lì che ho capito che dovevo
fare anche musica. Stare sul palco è la cosa più bella del mondo; in un certo
senso molto meglio che fare video.
Il processo creativo musicale
è molto simile a quello visivo. È un processo molto lungo, Aris è molto maniaco
e preciso. Io invece sono molto più immediata e in questo senso ci compensiamo
bene. Prima di chiudere un pezzo, Aris deve suonarlo e arrangiarlo in tutte le
salse e con tutte le variazioni possibili finché non si illumina quando sente
la versione giusta. Delle volte schizza il brano in modo grafico su un foglio,
altre volte ci immaginiamo delle scene che danno un'ambientazione al pezzo. Ad
esempio per il brano Your Party Sucks
ci immaginavamo un groove come quello di un cammello che cammina, in
particolare pensavamo alle gambe di un cammello che cammina. Quando poi abbiamo
deciso di fare il video musicale, non trovando un vero cammello, l'abbiamo
girato con amico che fa speed walking che ha delle gambe lunghe e le ginocchia
un po’ da cammello.
Peter Kernel non nasce solo da
un’esperienza artistica condivisa ma anche, e forse in primo luogo, da un
rapporto affettivo. Non è difficile e a volte rischioso avviare un progetto
musicale all’interno di una coppia? Se ci sono stati Lux Interior e Poison Ivy
o Johnny Cash e June Carter, ci sono anche Thurston Moore e Kim Gordon, e lo
scioglimento dei Sonic Youth.
Spesso i gruppi si sciolgono
per colpa di relazioni “pericolose”. Nel nostro caso è un rischio che ci
assumiamo. Aris ed io facciamo tutto insieme, musica, video, grafica,
management, l’etichetta. Siamo insieme 24 ore su 24 e stiamo lavoriamo circa 16
ore al giorno 7 giorni su 7 alla nostra musica e da circa 5-6 anni non andiamo
in vacanza. Se non fossimo una coppia e dovessimo avere altri partner sarebbe
insopportabile stare con noi. Se un giorno la nostra relazione dovesse finire,
ci adatteremo alla situazione, magari continueremo a suonare insieme o magari
no. Ci penseremo quando e se succederà.
Siete evidentemente dei
temerari. Non solo siete una coppia nella vita e avete intrapreso un percorso
musicale insieme, ma avete fondato anche una vostra etichetta – On the Camper
Records – che si occupa anche di videoclip, grafica, design e oggetti di
merchandise; com’è lavorare insieme nel campo della comunicazione promozionale?
Pensate che altre band potrebbero trarre benefici dalle vostre competenze nel
campo della comunicazione?
È molto difficile lavorare
sempre insieme, quando le cose vanno bene siamo tutti due felici nello stesso
momento quando le cose vanno male siamo tutti due distrutti e non c'è mai
nessuno a casa la sera che ti aiuta a tirare su il morale. In questo senso non
ci si compensa. Viviamo le stesse emozioni nello stesso momento. Questa cosa ci
obbliga ad avere molta disciplina nel mantenere la calma e l'autocontrollo. Poi
d’altro canto è bellissimo sapere di avere accanto una persona sempre pronta a
dare un secondo sguardo a quello che stai facendo, a mettere in discussione il
tutto e a darti una mano. Nel nostro lavoro, questo è fondamentale.
Abbiamo fondato On the camper
nel 2006 con lo scopo di aiutare gruppi che ci piacciono a suonare. La nostra
filosofia è che per far sopravvivere un gruppo devi suonare il più possibile e
avere un live che spacca. Con l'etichetta sfruttiamo le nostre competenze come
grafici, fotografi e videomaker per dare ai nostri gruppi tutto il necessario
per potersi promuovere e per riuscire a suonare il più possibile in tutta
Europa. Poi quando abbiamo tempo e con progetti che ci interessano facciamo
anche lavori su commissione: video musicali, grafiche per dischi o promozione.
Come se tutto questo non fosse
sufficiente a dimostrare la vostra laboriosità e la natura dinamica delle
vostre energie, vi siete dedicati anche a un side project orientato verso
l’elettronica, i Camilla Sparksss. Volete dirci qualcosa in proposito?
Era da diversi anni che
volevamo sperimentare con la musica elettronica, ma non ci siamo mai ritagliati
il tempo per farlo. Poi un giorno eravamo in tournée in Francia con PK e stavo
scaricando il mio amplificatore da basso, un Ampeg 810 per la ventesima volta
in 20 giorni, avevo la schiena a pezzi (ho la scoliosi) e mi sono detta: basta,
facciamo un progetto leggero.
A quel punto è nata Camilla
Sparksss. Come progetto per noi è molto più immediato rispetto a Peter Kernel.
L'elettronica ci permette di provare mille varianti di ogni cosa velocemente e
la forma che abbiamo scelto per il progetto ci lascia completa libertà. Con
Peter Kernel vogliamo sempre riuscire a riportare in concerto tutto quello che
è suonato e siamo solo tre musicisti sul palco, mentre con Camilla Sparksss
dichiariamo di avere una base elettronica pre-registrata e questo rende il
progetto senza confini.
Avete dichiarato di non avere
una formazione musicale canonica: Aris ha ammesso di preferire l’aspetto
istintivo a quello formale, mentre Barbara ha imparato a suonare il basso
proprio grazie alla nascita della band; non temete che, privilegiando l’impatto
emotivo e la spinta evocativa dei pezzi, gli aspetti tecnici possano venire
relegati in secondo piano?
Ahaha sì, ci pensiamo ogni
tanto; Aris suona la chitarra da 23 anni e io il basso da 11 anni e non è
facile trovare gente che suona da così tanto tempo e così di merda. Ma la mancanza di tecnica non
ci ha mai limitato in quello che facciamo, magari delle volte dobbiamo provare
delle cose per ore e ore, spesso per riuscire a fare cantati su certe parti
suonate, ma basta provare e alla fine riusciamo sempre a fare quello che
vogliamo.
Dopo un’embrionale esperienza
come quartetto, vi siete stabilizzati in due, ricorrendo a batteristi reclutati
quando necessario; non soffrite la mancanza di un batterista stabile, sia in
fase compositiva che, con implicazioni pratiche più palesi, quando dovete
cercarlo per i live?
Peter Kernel era nato in 2005
come trio, poi tra il 2008 e il 2010 eravamo in 4 poi di nuovo trio. Quando nel
2012 Aris e io abbiamo deciso di lasciare i nostri lavori per dedicarci
completamente alla musica, l'unico modo per fare questo era di lavorare con
diversi batteristi. In questo modo noi siamo liberi di confermare tutte le date
che ci vengono proposte dai nostri agenti senza doverci preoccupare dell’agenda
di una terza persona. Questa libertà è vitale per noi visto che sopravviviamo
grazie ai concerti. Al momento lavoriamo con sei batteristi
diversi. Certo, ci manca avere un batterista fisso soprattutto per la fase
compositiva. Perché anche se Aris ha sempre scritto tutte le parti, anche di
batteria, avere un batterista presente per poter provare suonando
rende tutto più facile. Per l'ultimo disco ci siamo arrangiati in maniera
molto artigianale. Io puntavo la batteria con un microfono e Aris suonava dei
ritmi, dei passaggi o dei colpi singoli, poi montavamo insieme le parti per
avere una bozza di ritmica. Solo prima di andare in studio a registrare ci
siamo chiusi nella sala prove per due mesi a suonare i pezzi con un batterista,
e questo ovviamente è stato fondamentale soprattutto per avere ritmiche
naturali e scorrevoli.
In Thrill Addict c’è anche un
brano improvvisato in studio, Tears don’t fall in space; qual è il motivo di
questa scelta? Volevate rivelare anche il vostro lato più spontaneo e meno
controllato?
È uscito così e ci piaceva.
Quindi l’abbiamo messo sul disco. Semplice.
0 commenti:
Posta un commento