venerdì 16 gennaio 2015

L'ora di geografia - Intervista ai Ruggine.


Ho sempre preferito le lezioni di storia alla geografia: mentre con la carta da lucido tracciavo fiumi e annerivo montagne, automaticamente rimuovevo dalla memoria i nomi e le collocazioni di quelle terre. Ora rimpiango quelle nozioni, quando mi ritrovo a rivolgere domande alle band nella mia perfetta ignoranza; è quello che accade con i Ruggine, che di una calamità della loro terra hanno voluto fare il biglietto da visita per il nuovo disco.
L’artwork di Iceberg (leggi la nostra recensione qui) ricorda l’alluvione che ha colpito il vostro paese d’origine Narzole (per chi non lo sapesse, come la sottoscritta, in provincia di Cuneo), e avete deciso di far uscire il disco a vent’anni esatti dal cataclisma; la vostra intenzione è forse ricordare la catastrofe in una dimensione individuale, o piuttosto portare alla luce un evento fuori dall’ordinario che ha segnato la memoria collettiva del vostro territorio? Quanto sentite l’appartenenza territoriale?

L'alluvione del '94 colpì praticamente tutto il sud del Piemonte, in molti casi distruggendo completamente alcune zone; noi eravamo poco più che bambini ma inevitabilmente è stato un evento che ricordiamo ancora oggi piuttosto bene. Le foto sono state scattate da Massimo Rossi a Narzole subito dopo l'alluvione e, anche se gran parte del centro abitato non fu colpita direttamente, ci si può rendere conto di quanto potente e devastante fosse stata la furia dell'acqua a poche centinaia di metri di distanza. Le due foto presenti in Iceberg sono dirette, autentiche, ma di forte impatto e con una certa forza espressiva. E' per questo che le abbiamo scelte, perchè in un certo senso rappresentano ciò che a nostro modo abbiamo cercato di dare al disco, ma senza avere pretese di altro tipo. Il fatto stesso che il disco esce a vent'anni esatti dall'alluvione non è una cosa voluta o studiata, quanto piuttosto una coincidenza interessante e significativa dal momento che a Narzole tutti e quattro abbiamo passato assieme almeno vent'anni della nostra vita. E' una cosa concreta più che un concetto di appartenenza, averci vissuto fisicamente e concretamente per tanti anni non può farcelo considerare un posto come tutti gli altri.

I nomi delle canzoni, invece, evocano suggestioni arcaiche, in alcuni casi persino bibliche; volete rimandare a un fondo di spiritualità o si tratta di una scelta estetica, legata esclusivamente al suono delle parole?

Al di là del suono in sé delle parole, quello che abbiamo fatto è stato cercare qualcosa che riassumesse ciò che per noi rappresenta il brano, le sensazioni che suscita una canzone racchiuse in una parola. Nessun titolo è presente all'interno del testo, ma è sempre collegato a esso. I motivi possono essere diversi, ma esiste sempre una connessione tra il titolo di un brano ed il brano stesso.

A proposito delle parole, la vostra impostazione lirica è stata accomunata con quella dei Massimo Volume. Io considero Clementi uno dei migliori esempi di scrittura “rock” in italiano, in grado di servirsi pienamente delle possibilità della nostra lingua, pur non perdendo coerenza con il fluire sonoro; voi, naturalmente, siete autorizzati a dissentire spiegandomi il vostro approccio alla scrittura e, soprattutto, come riuscite a conciliare delle sonorità noise e math rock con liriche viscerali e in qualche modo complesse.

Sono d'accordo e penso che in Italia, in ambito musicale, Clementi sia attualmente uno dei migliori esempi di scrittura in generale. Per quanto sia congiunto con la musica, il bello di un testo è che lo puoi pesare separatamente. Scrivere bene significa che, oltre all'importanza della forma e dell'estetica, il tuo testo deve essere efficace e si deve reggere in piedi da solo, indipendentemente dal genere di musica che fai. E' quello che abbiamo cercato di tenere sempre a mente durante la scrittura dei nostri testi, durante le modifiche e le correzioni. Il fatto poi di associare le nostre sonorità a questi testi e a questo modo di interpretarli è per noi una cosa del tutto naturale. Lo abbiamo sempre fatto ed è una cosa che ci appartiene appunto perchè genuina, spontanea. Per noi è il modo più semplice di comunicare qualcosa attraverso una canzone, la cosa complicata sarebbe farlo in un altro modo.

Ho letto che avete registrato Iceberg in analogico e in presa diretta; qual è il motivo di questa scelta e cosa avete trovato di diverso e, eventualmente, più efficace o stimolante?

Come già avevamo fatto in passato, abbiamo scelto di lavorare in analogico e di registrare in presa diretta perchè per noi è il metodo migliore per ottenere un lavoro compatto, diretto e che fosse fedele a ciò che i Ruggine sono dal vivo.

La formazione a due bassi è sicuramente un esemplare piuttosto raro, se si escludono esempi illustri come i Girls against Boys; come avete inglobato il doppio strumento e come avviene la composizione delle canzoni con una fisionomia così articolata?

All'inizio eravamo in tre, il secondo basso di Paolo si è aggiunto poco dopo e senza problemi. Eravamo giovanissimi e non ci siamo mai posti il problema rispetto al numero ridotto di band con la nostra stessa formazione. Anzi, ci siamo resi conto che i due bassi ci permettevano di ottenere il suono e l'effetto che avevamo in testa. E' stato naturale allora e continua ad esserlo adesso. Continuiamo a lavorare alle canzoni tutti e quattro assieme, a volte qualcuno porta in sala prove qualcosa di nuovo e poi ci si lavora, altre volte nasce tutto in sala prove direttamente. E' comunque sempre un processo in cui ognuno di noi mette del suo ed è coinvolto pienamente in quello che viene fatto.



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