Ho sempre preferito le lezioni di storia alla geografia: mentre con la carta da lucido tracciavo fiumi e annerivo montagne, automaticamente rimuovevo dalla memoria i nomi e le collocazioni di quelle terre. Ora rimpiango quelle nozioni, quando mi ritrovo a rivolgere domande alle band nella mia perfetta ignoranza; è quello che accade con i Ruggine, che di una calamità della loro terra hanno voluto fare il biglietto da visita per il nuovo disco.
L’artwork di Iceberg (leggi la nostra recensione qui) ricorda l’alluvione che ha colpito il vostro
paese d’origine Narzole (per chi non lo sapesse, come la sottoscritta, in
provincia di Cuneo), e avete deciso di far uscire il disco a vent’anni esatti
dal cataclisma; la vostra intenzione è forse ricordare la catastrofe in una
dimensione individuale, o piuttosto portare alla luce un evento fuori
dall’ordinario che ha segnato la memoria collettiva del vostro territorio?
Quanto sentite l’appartenenza territoriale?
L'alluvione del '94 colpì
praticamente tutto il sud del Piemonte, in molti casi distruggendo
completamente alcune zone; noi eravamo poco più che bambini ma inevitabilmente
è stato un evento che ricordiamo ancora oggi piuttosto bene. Le foto sono state
scattate da Massimo Rossi a Narzole subito dopo l'alluvione e, anche se gran parte
del centro abitato non fu colpita direttamente, ci si può rendere conto di
quanto potente e devastante fosse stata la furia dell'acqua a poche centinaia
di metri di distanza. Le due foto presenti in Iceberg
sono dirette, autentiche, ma di forte impatto e con una certa forza espressiva.
E' per questo che le abbiamo scelte, perchè in un certo senso rappresentano ciò
che a nostro modo abbiamo cercato di dare al disco, ma senza avere pretese di
altro tipo. Il fatto stesso che il disco esce a vent'anni esatti dall'alluvione
non è una cosa voluta o studiata, quanto piuttosto una coincidenza interessante
e significativa dal momento che a Narzole tutti e quattro abbiamo passato
assieme almeno vent'anni della nostra vita. E' una cosa concreta più che un
concetto di appartenenza, averci vissuto fisicamente e concretamente per tanti
anni non può farcelo considerare un posto come tutti gli altri.
I nomi delle canzoni, invece,
evocano suggestioni arcaiche, in alcuni casi persino bibliche; volete rimandare
a un fondo di spiritualità o si tratta di una scelta estetica, legata
esclusivamente al suono delle parole?
Al di là del suono in sé delle
parole, quello che abbiamo fatto è stato cercare qualcosa che riassumesse ciò
che per noi rappresenta il brano, le sensazioni che suscita una canzone
racchiuse in una parola. Nessun titolo è presente all'interno del testo, ma è
sempre collegato a esso. I motivi possono essere diversi, ma esiste sempre una
connessione tra il titolo di un brano ed il brano stesso.
A proposito delle parole, la
vostra impostazione lirica è stata accomunata con quella dei Massimo Volume. Io
considero Clementi uno dei migliori esempi di scrittura “rock” in italiano, in
grado di servirsi pienamente delle possibilità della nostra lingua, pur non
perdendo coerenza con il fluire sonoro; voi, naturalmente, siete autorizzati a
dissentire spiegandomi il vostro approccio alla scrittura e, soprattutto, come
riuscite a conciliare delle sonorità noise e math rock con liriche viscerali e
in qualche modo complesse.
Sono d'accordo e penso che in
Italia, in ambito musicale, Clementi sia attualmente uno dei migliori esempi di
scrittura in generale. Per quanto sia congiunto con la musica, il bello di un
testo è che lo puoi pesare separatamente. Scrivere bene significa che, oltre
all'importanza della forma e dell'estetica, il tuo testo deve essere efficace e
si deve reggere in piedi da solo, indipendentemente dal genere di musica che
fai. E' quello che abbiamo cercato di tenere sempre a mente durante la
scrittura dei nostri testi, durante le modifiche e le correzioni. Il fatto poi
di associare le nostre sonorità a questi testi e a questo modo di interpretarli
è per noi una cosa del tutto naturale. Lo abbiamo sempre fatto ed è una cosa
che ci appartiene appunto perchè genuina, spontanea. Per noi è il modo più
semplice di comunicare qualcosa attraverso una canzone, la cosa complicata
sarebbe farlo in un altro modo.
Ho letto che avete registrato Iceberg in analogico e in presa diretta; qual è il motivo
di questa scelta e cosa avete trovato di diverso e, eventualmente, più efficace
o stimolante?
Come già avevamo fatto in
passato, abbiamo scelto di lavorare in analogico e di registrare in presa
diretta perchè per noi è il metodo migliore per ottenere un lavoro compatto,
diretto e che fosse fedele a ciò che i Ruggine sono dal vivo.
La formazione a due bassi è
sicuramente un esemplare piuttosto raro, se si escludono esempi illustri come i
Girls against Boys; come avete inglobato il doppio strumento e come avviene la
composizione delle canzoni con una fisionomia così articolata?
All'inizio eravamo in tre, il
secondo basso di Paolo si è aggiunto poco dopo e senza problemi. Eravamo
giovanissimi e non ci siamo mai posti il problema rispetto al numero ridotto di
band con la nostra stessa formazione. Anzi, ci siamo resi conto che i due bassi
ci permettevano di ottenere il suono e l'effetto che avevamo in testa. E' stato
naturale allora e continua ad esserlo adesso. Continuiamo a lavorare alle
canzoni tutti e quattro assieme, a volte qualcuno porta in sala prove qualcosa
di nuovo e poi ci si lavora, altre volte nasce tutto in sala prove
direttamente. E' comunque sempre un processo in cui ognuno di noi mette del suo
ed è coinvolto pienamente in quello che viene fatto.
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