venerdì 22 novembre 2013

To shit in the face of history - Intervista a Lydia Lunch


Non ho incontrato Lydia Lunch. Ho accettato la proposta di un’intervista a distanza ingoiando amaro: in un colpo solo avrei conosciuto una delle protagoniste indiscusse di una scena e di un suono a cui sono particolarmente affezionata – la No Wave – e uno dei personaggi più estremi e intriganti del multiforme bestiario musicale. Potrò solo fingere di avere i suoi insani occhi conficcati in faccia ad alimentare disagio e senso di inadeguatezza; eppure, la ferocia esibita trasuda anche dalle risposte asetticamente trascritte in coda alle mie domande, e non escludo che un nostro ipotetico incontro avrebbe potuto trasformarsi in guerra aperta tra personalità sopra le righe: la sua, forte del perfetto compimento artistico e individuale, pronta a divorare la mia, ancora instabile e nutrita della sola volontà di potenza. Sarà tra qualche giorno in Italia per contrabbandare il suo nuovo disco dal vivo, Retrovirus, che si dilania attraverso il repertorio dei Teenage Jesus & The Jerks, 13.13, 8-Eyed Spy e Shotgun Wedding, passando per il suo primo disco solista (Queen of Siam) e per progetti più recenti.

-“Perché hai deciso di includere brani dai Teenage Jesus & The Jerks nella tua performance? Pensi che possano acquisire un nuovo significato dall’impatto con il pubblico attuale?”

-L.L:“Retrovirus nasce esplicitamente come un lavoro di retrospettiva sui Teenage Jesus. Naturalmente la loro musica rimane tra le più brutali mai create. È doveroso darle sfogo ancora. “E come è stato ‘mettere alla prova’ il tuo materiale con la nuova band? “Non si è trattato di ‘mettere alla prova’. Ho scelto il set e costretto i ragazzi a impararlo”.

-La convinzione della propria efficacia creativa preserva dal dubbio anche questo esperimento di rievocazione; se le operazioni retrospettive si espongono sempre, di per sé, al rischio di scivolare in nostalgico autocompiacimento, in questo caso l’azzardo è anche espressivo, in quanto coinvolge un’attitudine a suo tempo sperimentata con immediatezza quasi dadaista. “La casualità delle performance nella scena No Wave (il tuo modo unico di suonare la chitarra, l’accordatura, il fatto di suonare strumenti presi in prestito) le rende difficilmente riproducibili? O consideri l’impossibilità di una riproduzione esatta come qualcosa di positivo?

-L.L:Ovviamente è difficile. Solo Weasel Walter è stato in grado di padroneggiare il mio stile chitarristico. Essendo così esperto nella No Wave”. “I tuoi obiettivi artistici sono cambiati durante gli anni?” “No, non sono cambiati. I miei obiettivi sono stati sempre documentare la mia isteria o l’isteria collettiva del momento e rifletterla come uno specchio frantumato”. 

-Queste le sue esatte parole, lapidarie ma sapientemente scelte, come se anche un’intervista canonica diventasse occasione di rivendicazione artistica. “Molti tuoi contemporanei della scena No Wave si sono esauriti in pochi anni. Secondo te, qual è la ragione, se confrontati con la tua ispirazione ininterrotta?” 

-L.L:Non c’è confronto. Io sono un animale di natura diversa. Prendo ispirazione da tutto ciò contro cui combatto. Su questo fronte, sono costantemente ispirata a continuare a smerdare la storia. A essere una spina nel fianco della compiacenza e della bancarotta spirituale”.

-L’ego debordante di Lydia e le sue scelte esistenziali non convenzionali si sono sempre imposti con troppa evidenza per non attirare l’attenzione; ma più che una curiosità voyeuristica sulle sue abitudini, vale la pena chiederle come vive l’apparente scissione tra l’urgenza espressiva dei suoi esordi e la presunta “maturità” che ci si aspetta si acquisisca negli anni, e come conviva con l’etichetta di artista “decadente”. “Per quanto riguarda i cosiddetti artisti ‘maledetti’, pensi ci sia una contraddizione tra ‘crescere’ e conservare l’ispirazione?

-L.L:IO HO SEMPRE SCATTI D’IRA. Almeno sul palco. Ero molto più matura a sei anni. Da allora, ho percorso una strada a ritroso”. 

-“L’interesse per gli aspetti deviati dell’esistenza spesso può venir confuso con la diffusa concezione decadente del rock stradom. Nella tua esperienza, è possibile distinguere l’autenticità da questo stereotipo?” 

-L.L:La vera ispirazione ha portato molti artisti alla pazzia. D’altra parte, se ti comporti da folle abbastanza a lungo, finisci per diventarlo. Non credo sia un ambito esclusivo delle ‘rockstar’. Sto leggendo l’autobiografia di Klaus Kinski. Era talmente oltraggioso che le sue bizzarrie metterebbero in imbarazzo la maggior parte dei musicisti”. 

-L’immagine di Klaus Kinski che sorride maligno alla telecamera di Herzog , mentre una farfalla variopinta gli danza intorno, si addice perfettamente all’aura naturalmente sconveniente che associo alla mia idea di Lydia; un’aura tanto più impressionante poiché emanata da una donna. “L’iperrealismo della tua autobiografia [Paradoxia. A Predator’s Diary] non è molto diffuso nella letteratura femminile. So che tieni workshops per artiste (Post Catastrophe Collaborative Workshop: Artist’s Workshop by and for Women). Pensi che le donne abbiano un’attitudine particolare rispetto al processo creativo?”

-L.L:La ragione per cui tengo workshops esclusivi per le donne è che non esiste qualcosa di equivalente negli sport o nella guerra. Ho pensato che avrei almeno potuto sviluppare uno spazio in cui potessimo delirare, infuriarci, gioire e impegnarci, non disturbate dal bisogno di carinerie o buone maniere. È stato estremamente interessante per tutte le partecipanti, ed è qualcosa che continuerò a seguire.


0 commenti:

Posta un commento

Licenza Creative Commons

 
©2011 Stordisco_blog Theme Design by New WP Themes | Bloggerized by Lasantha - Premiumbloggertemplates.com | Questo blog non è una testata giornalistica Ÿ