Al
confine fra Toscana e Lazio incontro a cena gli Amiatini Francesco e
Michele, basso-voce e chitarra dei Dondolaluva, che mi raccontano un
po' di cose sul passato, sul futuro e sul nuovo, imminente disco.
Come procedono i lavori per
il vostro secondo disco?
F: Bene, abbiamo già finito le
registrazioni e mancano solo le sessioni vocali mie e di eventuali
ospiti...li teniamo ancora nascosti?
M: Ma sì, teniamoli nascosti...
F: Ce li teniamo come carta a
sorpresa per l'uscita! Si chiamerà, questo lo possiamo dire, Devono
Morì. Probabilmente uscirà il 2 di novembre (ride). Sarà un disco
diverso, perchè si spostano i temi su cui saranno incentrati i testi
sulla stretta attualità, pur lasciandola un po' sullo sfondo, testi
che saranno più diretti e affronteranno problematiche relative a
tutto quello che ci sta intorno piuttosto che crisi esistenziali di
cui era fin troppo intriso il nostro esordio. Ci sarà comunque lo
stesso tipo di disagio ma orientato verso tematiche differenti...sarà
un album più aperto, anche a livello di suoni. Si è fatto un lavoro
importante, Arrivano I Pollini era la fotografia di un gruppo che
esisteva da almeno 7 anni che nel corso della sua storia ha perso un
cantante, si è ricostruito sulla base di 3 sole persone e ha dovuto
ritrovare la quadratura del cerchio ripartendo dagli stessi pezzi che
ormai esistevano da parecchio tempo. In pratica il disco era una
stratificazione di tutto ciò che è successo in questo periodo,
mentre Devono Morì riparte da zero sia dal punto di vista musicale
che di scrittura: ci siamo guardati in faccia in tre dopo due anni in
cui non si è fatto quasi niente o comunque ciò che usciva non ci
convinceva appieno, abbiamo attraversato un periodo critico dopo il
quale ci siamo messi sotto e abbiamo visto che di cose da dire ce
n’erano, bastava solo guardare in una direzione diversa da quella a
cui eravamo abituati.
Dal vostro profilo facebook
ho visto che uno dei pezzi parlerà del periodo in cui eravate ancora
in 4, potete dirmi qualcosa di più?
M: E qui così sveliamo un
ospite!
F: E' una storia un po' lunga.
Sull'album precedente c'è un pezzo in acustico (Essendo Che E' Così,
ndr) che arriva un po' inaspettato in un album molto rock per come lo
aveva prodotto Giorgio Canali. La ragione per cui c'è quel brano è
semplicemente che la persona che ci stava registrando in quel momento
ha cancellato la versione rock, cosa di cui ci siamo accorti solo
fuori dallo studio nel momento che dovevamo fare le voci guida, per
cui Giorgio mi ha messo in mano questa chitarra e mi ha detto “vai
là a suonarla che qualcosa ci s'inventa”. Sembra una suggestione
particolare e invece è una cosa nata per caso, tant'è che sui
credits del disco c'è “Stefano Bechini (produttore del nuovo
album) al tasto rec e quest'altra persona al tasto canc” (ridono).
Il pezzo che celebrerà quel periodo è proprio questo, registrato
nuovamente in chiave rock ma con la voce di Davide, il cantante di
allora.
Avete collaborato con alcune
altre band, apparendo nel video dei Vandemars e scrivendo un testo
del vostro nuovo disco assieme a Gli Eternauti. Potete dirmi qualcosa
di più al riguardo, magari sulla scena in generale della vostra
zona?
F: Beh i Vandemars sono gente
delle parti nostre, con cui ci si frequenta da quando abbiamo
iniziato a suonare praticamente visto che abbiamo suonato anche in
gruppi in cui c'erano dei loro membri e viceversa. Ci si conosce, si
sono condivisi spazi, serate, date...ora sono alla terza
ricomposizione della band, hanno già fatto un disco, prodotto da
Paolo Benvegnù, e stanno registrando il secondo. Secondo noi sono
bravissimi ma venendo da questo angolo sperduto bisogna farne di
chilometri per raccogliere un minimo di considerazione.
Gli Eternauti sono un gruppo di
Bari che abbiamo conosciuto quando abbiamo suonato all’Arci
Tressettedi Giovinazzo (BA). Hanno aperto loro la serata ed è stato
amore a primo ascolto. Sanno scrivere, suonare ma soprattutto tenere
le due cose insieme in maniera bella e intelligente. E anche loro
hanno appena rilasciato un disco (“Il vuoto è segreto” n.d.r.).
Il testo di Un’Alluvione è scritto con loro.
Tornando all’Amiata in realtà
non si può dire che esista una scena, ci sono un po' di persone che
si supportano a vicenda e cercano di tenere in piedi alcuni spazi sia
per provare che per organizzare qualche serata, ma in tutto il Monte
ci sono solo un paio di sale prove, di cui una è uno studio di
registrazione professionale, e nessun locale dove suonare: non c'è
un interesse generale che vada oltre le stesse persone che cercano di
tenere in piedi il proprio piccolo angolo diciamo. Manca la voglia di
mettersi in gioco. Dieci anni fa ce n'era un po' di più, al tempo
che ci siamo formati, fra l'altro col pretesto di partecipare ad un
concorso per band emergenti.
M: La cosa strana è che suona
parecchia gente da queste parti. Il monte Amiata è una zona che sarà
composta da 5-6 comuni eppure ci sono molti gruppi, anche se non
conosco le singole realtà. Il problema è che qui nascono e qui
rimangono. La cosa curiosa è che siano arrivati Canali e Benvegnù a
produrre due gruppi di qui.
Nel vostro primo album la
canzone L'Urlo Di Che Terrorizza Anche Me è stata al centro di un
concorso per la realizzazione di un video della stessa. Come è nata
e come si è sviluppata questa idea?
F: L'idea era di far ricantare
la nostra canzone da chiunque ne avesse voglia, l'unica regola che
abbiamo dato per la realizzazione di questi video era quella di
andare dietro al testo come in una sorta di playback. Il concorso era
stato lanciato sul sito per cui lavoravo, poi però mi sono
licenziato e la cosa è rimasta un po' lì...avevamo anche abbastanza
materiale, un certo numero di video da usare per farne un montaggio
che diventasse il video ufficiale della canzone, ma la decisione di
fare altro nella vita ha fatto naufragare l'idea. Molti di quei video
sono rimasti solamente sul sito, altri erano disponibili anche su
youtube e non tutto il lavoro è andato sprecato. Ce n'è uno in
particolare con un ragazzo che suona la batteria con una ciminiera in
sottofondo che è diventato in pratica il video ufficiale.
M: E poi quel ragazzo è
diventato il videomaker del suo matrimonio, sempre con la batteria
ovviamente! (Ride)
F: Eh sì, intanto che mi
sposavo lui dietro con la batteria! (Ride)
Come siete entrati in
contatto con Giorgio Canali e com'è stato lavorarci assieme durante
la produzione di Arrivano I Pollini?
M: Eh potremmo approfittarne per
parlarne male per quella frase sui cocktail party! (Ride) (In una
vecchia intervista via mail fatta a Canali mi aveva consigliato i
Dondolaluva avvertendomi però che, testuali parole, “Sono dei
montanari dell'Amiata che ti fanno fare brutta figura ai cocktail
party, non se li inculerà nessuno”)
F: A parte gli scherzi siamo
stati contenti di quella frase, ci ho visto un po' una critica a
tutto quello che succedeva intorno, come dire “state tutti a
parlare di rock indipendente ma poi non si riesce ad organizzare un
evento senza che ci sia di mezzo un cocktail party”. E' stato un
po' come dire che noi non c'entravamo un cazzo con quel tipo di
mondo! (Ride) Io l'avevo intervistato un paio di volte in radio, e
visto che avevamo registrato la nostra prima demo ma non eravamo
rimasti soddisfatti del missaggio abbiamo pensato di provare a
contattarlo sfruttando questo aggancio. Lui è stato molto
disponibile e schietto, mi ha detto di mandarglielo pure che
l'avrebbe ascoltato quando aveva due minuti e mi avrebbe comunque
contattato sia per dirmi sì che no alla possibilità di lavorarci
sopra. Per noi già solo il fatto che ascoltasse qualcosa di nostro
era una figata, visto che alcuni nostri pezzi erano stati concepiti
in un periodo in cui ascoltavamo i suoi dischi e andavamo a vederlo
ai concerti, poi ci ha ricontattato dicendo che era impazzito per un
pezzo in particolare, Sé Steso, che stava sul demo ed è finito
anche sull'album, e che avrebbe avuto piacere oltre a mixarci la demo
anche di lavorare a qualcos'altro. E' stata una fortuna, anche perchè
ci ha raccontato che a volte pesca un disco a caso, gli piace e
magari contattando la band scopre che si è sciolta...si vede che
quando gli è arrivato il nostro lavoro era in buona per ascoltarlo
subito!
M: E da quanto ci ha detto gli
arriva veramente una marea di roba...
F: Siamo andati a trovarlo un
weekend a Ferrara che è stato incredibile, abbiamo ascoltato per
un'oretta il cd e poi il resto del tempo ci siamo ubriacati... ci ha
detto secondo lui in che direzione dovevamo guardare in quattro
parole, qualcosa del tipo “state guardando ai Rossofuoco,
lasciateli perdere e guardate a Paolo Benvegnù”. Poi è venuto in
studio e alcune cose si sono guardate lì per lì.
Nel
secondo disco avete lavorato in modo differente rispetto al primo?
M: Di Giorgio ricordo che aveva
un modo di lavorare molto diretto. E' stata praticamente una
registrazione live, c'era la batteria microfonata e di fronte i
nostri amplificatori e tutto quello che usciva da lì era quello su
cui poi ha lavorato, senza sovraincisioni, un approccio completamente
diverso da quello che stiamo facendo ora lavorando a sessioni per
incastrare meglio le cose. Aveva l'intenzione di catturare il
momento, infatti mentre registravamo a volte lui era in mezzo a noi
che gesticolava, ballicchiava...
F: Era proprio in mezzo al
pezzo, stava lì inginocchiato con gli occhiali da sole che sembrava
stesse facendo un rito voodoo...
M: facemmo il primo pezzo, lui
era in cabina di regia, e una volta finito venne lì e ci disse
“bene, ora suoniamo”. (Ride) Lui rimase lì insieme a noi
lasciando i tecnici a schiacciare rec e canc, e ricordo benissimo
comunque l'incitamento che ci dava.
F: Stefano, il produttore del
prossimo album, lavora in modo molto diverso. Analizza un elemento
alla volta per fare in modo che tutto suoni con lo stesso tipo
d'intenzione. Cerca molto il dettaglio e quindi passa parecchio tempo
a spiegarti come vuole le cose: questo per noi che non facciamo
questo di mestiere, ma soprattutto per lui che lo fa e che deve avere
a che fare con noi, è un lavoro molto faticoso. Poi comunque i
risultati sono belli.
M: Ci ha fatto lavorare molto
sull'intensità. La differenza fra i due tipi di lavorazione è un
po' la stessa che passa fra la fotografia di posa e quella naturale:
non c'è un meglio o un peggio, sono due cose diverse ma ugualmente
valide. La bravura di Stefano è quella di creare delle pose che
sembrino naturali, mentre Giorgio voleva catturare la posa giusta al
volo, in maniera istintiva. Sono un sacco contento di aver potuto
vivere entrambi questi tipi di lavorazione.
F: Il fatto che entrambi siano
partiti da una base in presa diretta dice comunque molto sul nostro
gruppo. Abbiamo sempre suonato in al “chiuso”, stanza cantina o
sala prove, uno di fronte all'altro, e non usciamo da questa cosa: se
suoniamo distanti non riusciamo a suonare. Infatti quando ci toccano
dei palchi un po’ più grandi di 5mq facciamo cagare.
M: Ci siamo anche accorti di
accordi che non suonavano bene solo al momento di registrare...
(Ride)
F: Se stona è stoner! (Ride)
Com'è nata l'idea di
“modificare” la canzone di Gino Paoli facendola diventare Il
Cielo Senza Stanza? Ci sarà qualcosa del genere nel prossimo disco?
F: L'intenzione c'era, ma non
c'è stato il tempo...volevo fare una canzone di Gaber, che è Far
Finta Di Essere Sani, che ci stava a completamento di tutto quello di
cui questo disco vorrebbe avere la pretesa di parlare. Il Cielo Senza
Stanza è nata per caso, avevamo la musica ma la voce era solo
provvisoria e provandola in sede di registrazione l'ho fatta
cantandoci sopra proprio il testo di Gino Paoli ma alla velocità del
pezzo nostro. Giorgio impazzì completamente, disse “no qui
dobbiamo rivedere sto testo, qui deve uscire la grandine, grandine di
qualsiasi tipo capisci?” (ride) Così nacque questa cosa che non
voleva essere assolutamente dissacratoria, diciamo che è un omaggio
particolare...
Avete dei testi molto
particolari e “complicati” sotto un certo punto di vista: questa
limita l'impatto live o la gente che canta sotto il palco ai vostri
concerti c'è?
M: Premetto che anche io i suoi
testi non li so tutti (ride). Ci è capitato comunque spesso di
vedere gente che canta ai nostri concerti, si vede che si mettono lì
booklet alla mano a studiarseli...ma proprio durante il concerto!
(Ride)
F: Un po' come come quando vai a
teatro a vedere l'opera, col libretto...(ride)
M: In realtà nemmeno lui stesso
canta tutti i testi! Dal vivo la “livella” del gruppo, sia per i
volumi che per la velocità, è Fulvio, il nostro batterista, che a
seconda del grado d'importanza del concerto e della tensione prende
le canzoni ad una certa velocità...di solito il doppio
dell'originale. Siccome lui deve faticare parecchio per starci
dietro, che di cose ne deve dire un sacco, alla fine ha fatto tipo un
bignami del testo!
F: Effettivamente nel nuovo
disco ci sono porzioni di testo più asciutte, perchè ho imparato la
lezione! (Ride) Fulvio riducendo anche le strofe dal vivo mi toglie
il tempo non solo per pronunciarle ma anche per prendere fiato...
però è vero, capita di vedere qualcuno che durante il concerto
“muove la bocca” per così dire!
Il tuo modo di scrivere è
stato influenzato da qualcosa?
M: Dal treno, te lo dico io!
(Ridono)
F: Forse è la verità perchè
sul treno avevo un sacco di tempo per scrivere, da quando ho comprato
la macchina scrivo molto meno!
Ho sentito l'album dei
Francevskij (progetto di Francesco con Francesco Monaci dei Liberal
Carme) e mi chiedevo se c'è qualche altro progetto al di fuori dei
Dondolaluva che vi vede coinvolti...
F: Io trovandomi a Roma da ormai
5 anni non sempre riesco a suonare con loro certe cose che concepisco
anche solo in fase embrionale, quindi c'è un repertorio di canzoni
che sono nate chitarra e voce nei periodi in cui non c'incontravamo e
che in parte non hanno funzionato quando li ho proposti a loro, visto
che ovviamente il processo compositivo è una mediazione fra ognuno
di noi. Non so se ci farò mai qualcosa ma diciamo che è comunque
qualcosa di diverso rispetto a Dondolaluva. Altro non c'è in ballo,
Francevskij è l'unica cosa che è capitata ed è andata in porto più
che altro perchè l'abbiamo composto via mail, io scrivevo i testi e
lui ci metteva le musiche...ci confrontavamo, in qualche occasione
registravo un basso, è stato concepito nell'arco di due anni con
tutta la calma del caso e non è detto che non vada avanti, proprio
grazie a questa sua natura particolare.
A fine anno mi dicevate a
cena che per varie vicissitudini il progetto Dondolaluva finirà. Se
poteste scegliere un artista col quale suonare per chiudere
degnamente la storia del gruppo?
M: Ce l'abbiamo. Pappalardo!
(Ride)
F: Sì Pappalardo che canta
L'Urlo Di Chen sarebbe veramente ganzo...
M: O anche Devono Morì. S'era
anche pensato ad un featuring...
F: No seriamente son tanti i
gruppi con cui si vorrebbe suonare...anche solo per farli riformare!
A me vengono in mente i Fugazi che son dieci anni che si cerca di
capire se son vivi o no. L'unica cosa che mi auguro è che questo
disco arrivi alle persone a cui deve arrivare. Punto. Per cause
personali a dicembre arriveremo al termine di tutta questa
esperienza, e possiamo dire che ci sentiamo un gruppo “arrivato”:
di solito si dice di una band che ha avuto successo, mentre noi non
l'abbiamo mai neanche sfiorato. Eppure forse ci è arrivato più di
quello che avremmo mai immaginato, vedi la collaborazione con Canali
o il fatto di registrare in modo professionale in uno studio
professionale con gente professionale... Siamo un gruppo che pensava
di avere qualcosa da dire, che l'ha detto e che a qualcuno è
arrivato. Pochi o no, valeva comunque la pena di farlo come
l’abbiamo fatto. Se venisse riconosciuta una specie di autenticità
in questo, ne sarei contento. Mi rimane un senso di malinconia, ma
anche la soddisfazione del lavoro fatto e la consapevolezza che se
per varie circostanze si fa fatica ad andare avanti è giusto che il
progetto non sopravviva a sé stesso. Dopotutto grazie ai mezzi di
oggi dal 2 di novembre il nostro lavoro sarà comunque a disposizione
di chi avrà la curiosità di scoprire la nostra musica! Anche dopo
che non suoneremo più.
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