lunedì 9 settembre 2013

Intervista ai Dondolaluva (19-08-2013)

Al confine fra Toscana e Lazio incontro a cena gli Amiatini Francesco e Michele, basso-voce e chitarra dei Dondolaluva, che mi raccontano un po' di cose sul passato, sul futuro e sul nuovo, imminente disco.

Come procedono i lavori per il vostro secondo disco?

F: Bene, abbiamo già finito le registrazioni e mancano solo le sessioni vocali mie e di eventuali ospiti...li teniamo ancora nascosti?

M: Ma sì, teniamoli nascosti...

F: Ce li teniamo come carta a sorpresa per l'uscita! Si chiamerà, questo lo possiamo dire, Devono Morì. Probabilmente uscirà il 2 di novembre (ride). Sarà un disco diverso, perchè si spostano i temi su cui saranno incentrati i testi sulla stretta attualità, pur lasciandola un po' sullo sfondo, testi che saranno più diretti e affronteranno problematiche relative a tutto quello che ci sta intorno piuttosto che crisi esistenziali di cui era fin troppo intriso il nostro esordio. Ci sarà comunque lo stesso tipo di disagio ma orientato verso tematiche differenti...sarà un album più aperto, anche a livello di suoni. Si è fatto un lavoro importante, Arrivano I Pollini era la fotografia di un gruppo che esisteva da almeno 7 anni che nel corso della sua storia ha perso un cantante, si è ricostruito sulla base di 3 sole persone e ha dovuto ritrovare la quadratura del cerchio ripartendo dagli stessi pezzi che ormai esistevano da parecchio tempo. In pratica il disco era una stratificazione di tutto ciò che è successo in questo periodo, mentre Devono Morì riparte da zero sia dal punto di vista musicale che di scrittura: ci siamo guardati in faccia in tre dopo due anni in cui non si è fatto quasi niente o comunque ciò che usciva non ci convinceva appieno, abbiamo attraversato un periodo critico dopo il quale ci siamo messi sotto e abbiamo visto che di cose da dire ce n’erano, bastava solo guardare in una direzione diversa da quella a cui eravamo abituati.

Dal vostro profilo facebook ho visto che uno dei pezzi parlerà del periodo in cui eravate ancora in 4, potete dirmi qualcosa di più?

M: E qui così sveliamo un ospite!

F: E' una storia un po' lunga. Sull'album precedente c'è un pezzo in acustico (Essendo Che E' Così, ndr) che arriva un po' inaspettato in un album molto rock per come lo aveva prodotto Giorgio Canali. La ragione per cui c'è quel brano è semplicemente che la persona che ci stava registrando in quel momento ha cancellato la versione rock, cosa di cui ci siamo accorti solo fuori dallo studio nel momento che dovevamo fare le voci guida, per cui Giorgio mi ha messo in mano questa chitarra e mi ha detto “vai là a suonarla che qualcosa ci s'inventa”. Sembra una suggestione particolare e invece è una cosa nata per caso, tant'è che sui credits del disco c'è “Stefano Bechini (produttore del nuovo album) al tasto rec e quest'altra persona al tasto canc” (ridono). Il pezzo che celebrerà quel periodo è proprio questo, registrato nuovamente in chiave rock ma con la voce di Davide, il cantante di allora.

Avete collaborato con alcune altre band, apparendo nel video dei Vandemars e scrivendo un testo del vostro nuovo disco assieme a Gli Eternauti. Potete dirmi qualcosa di più al riguardo, magari sulla scena in generale della vostra zona?

F: Beh i Vandemars sono gente delle parti nostre, con cui ci si frequenta da quando abbiamo iniziato a suonare praticamente visto che abbiamo suonato anche in gruppi in cui c'erano dei loro membri e viceversa. Ci si conosce, si sono condivisi spazi, serate, date...ora sono alla terza ricomposizione della band, hanno già fatto un disco, prodotto da Paolo Benvegnù, e stanno registrando il secondo. Secondo noi sono bravissimi ma venendo da questo angolo sperduto bisogna farne di chilometri per raccogliere un minimo di considerazione.
Gli Eternauti sono un gruppo di Bari che abbiamo conosciuto quando abbiamo suonato all’Arci Tressettedi Giovinazzo (BA). Hanno aperto loro la serata ed è stato amore a primo ascolto. Sanno scrivere, suonare ma soprattutto tenere le due cose insieme in maniera bella e intelligente. E anche loro hanno appena rilasciato un disco (“Il vuoto è segreto” n.d.r.). Il testo di Un’Alluvione è scritto con loro.
Tornando all’Amiata in realtà non si può dire che esista una scena, ci sono un po' di persone che si supportano a vicenda e cercano di tenere in piedi alcuni spazi sia per provare che per organizzare qualche serata, ma in tutto il Monte ci sono solo un paio di sale prove, di cui una è uno studio di registrazione professionale, e nessun locale dove suonare: non c'è un interesse generale che vada oltre le stesse persone che cercano di tenere in piedi il proprio piccolo angolo diciamo. Manca la voglia di mettersi in gioco. Dieci anni fa ce n'era un po' di più, al tempo che ci siamo formati, fra l'altro col pretesto di partecipare ad un concorso per band emergenti.

M: La cosa strana è che suona parecchia gente da queste parti. Il monte Amiata è una zona che sarà composta da 5-6 comuni eppure ci sono molti gruppi, anche se non conosco le singole realtà. Il problema è che qui nascono e qui rimangono. La cosa curiosa è che siano arrivati Canali e Benvegnù a produrre due gruppi di qui.


Nel vostro primo album la canzone L'Urlo Di Che Terrorizza Anche Me è stata al centro di un concorso per la realizzazione di un video della stessa. Come è nata e come si è sviluppata questa idea?

F: L'idea era di far ricantare la nostra canzone da chiunque ne avesse voglia, l'unica regola che abbiamo dato per la realizzazione di questi video era quella di andare dietro al testo come in una sorta di playback. Il concorso era stato lanciato sul sito per cui lavoravo, poi però mi sono licenziato e la cosa è rimasta un po' lì...avevamo anche abbastanza materiale, un certo numero di video da usare per farne un montaggio che diventasse il video ufficiale della canzone, ma la decisione di fare altro nella vita ha fatto naufragare l'idea. Molti di quei video sono rimasti solamente sul sito, altri erano disponibili anche su youtube e non tutto il lavoro è andato sprecato. Ce n'è uno in particolare con un ragazzo che suona la batteria con una ciminiera in sottofondo che è diventato in pratica il video ufficiale.

M: E poi quel ragazzo è diventato il videomaker del suo matrimonio, sempre con la batteria ovviamente! (Ride)

F: Eh sì, intanto che mi sposavo lui dietro con la batteria! (Ride)

Come siete entrati in contatto con Giorgio Canali e com'è stato lavorarci assieme durante la produzione di Arrivano I Pollini?

M: Eh potremmo approfittarne per parlarne male per quella frase sui cocktail party! (Ride) (In una vecchia intervista via mail fatta a Canali mi aveva consigliato i Dondolaluva avvertendomi però che, testuali parole, “Sono dei montanari dell'Amiata che ti fanno fare brutta figura ai cocktail party, non se li inculerà nessuno”)

F: A parte gli scherzi siamo stati contenti di quella frase, ci ho visto un po' una critica a tutto quello che succedeva intorno, come dire “state tutti a parlare di rock indipendente ma poi non si riesce ad organizzare un evento senza che ci sia di mezzo un cocktail party”. E' stato un po' come dire che noi non c'entravamo un cazzo con quel tipo di mondo! (Ride) Io l'avevo intervistato un paio di volte in radio, e visto che avevamo registrato la nostra prima demo ma non eravamo rimasti soddisfatti del missaggio abbiamo pensato di provare a contattarlo sfruttando questo aggancio. Lui è stato molto disponibile e schietto, mi ha detto di mandarglielo pure che l'avrebbe ascoltato quando aveva due minuti e mi avrebbe comunque contattato sia per dirmi sì che no alla possibilità di lavorarci sopra. Per noi già solo il fatto che ascoltasse qualcosa di nostro era una figata, visto che alcuni nostri pezzi erano stati concepiti in un periodo in cui ascoltavamo i suoi dischi e andavamo a vederlo ai concerti, poi ci ha ricontattato dicendo che era impazzito per un pezzo in particolare, Sé Steso, che stava sul demo ed è finito anche sull'album, e che avrebbe avuto piacere oltre a mixarci la demo anche di lavorare a qualcos'altro. E' stata una fortuna, anche perchè ci ha raccontato che a volte pesca un disco a caso, gli piace e magari contattando la band scopre che si è sciolta...si vede che quando gli è arrivato il nostro lavoro era in buona per ascoltarlo subito!

M: E da quanto ci ha detto gli arriva veramente una marea di roba...

F: Siamo andati a trovarlo un weekend a Ferrara che è stato incredibile, abbiamo ascoltato per un'oretta il cd e poi il resto del tempo ci siamo ubriacati... ci ha detto secondo lui in che direzione dovevamo guardare in quattro parole, qualcosa del tipo “state guardando ai Rossofuoco, lasciateli perdere e guardate a Paolo Benvegnù”. Poi è venuto in studio e alcune cose si sono guardate lì per lì.

Nel secondo disco avete lavorato in modo differente rispetto al primo?

M: Di Giorgio ricordo che aveva un modo di lavorare molto diretto. E' stata praticamente una registrazione live, c'era la batteria microfonata e di fronte i nostri amplificatori e tutto quello che usciva da lì era quello su cui poi ha lavorato, senza sovraincisioni, un approccio completamente diverso da quello che stiamo facendo ora lavorando a sessioni per incastrare meglio le cose. Aveva l'intenzione di catturare il momento, infatti mentre registravamo a volte lui era in mezzo a noi che gesticolava, ballicchiava...

F: Era proprio in mezzo al pezzo, stava lì inginocchiato con gli occhiali da sole che sembrava stesse facendo un rito voodoo...

M: facemmo il primo pezzo, lui era in cabina di regia, e una volta finito venne lì e ci disse “bene, ora suoniamo”. (Ride) Lui rimase lì insieme a noi lasciando i tecnici a schiacciare rec e canc, e ricordo benissimo comunque l'incitamento che ci dava.

F: Stefano, il produttore del prossimo album, lavora in modo molto diverso. Analizza un elemento alla volta per fare in modo che tutto suoni con lo stesso tipo d'intenzione. Cerca molto il dettaglio e quindi passa parecchio tempo a spiegarti come vuole le cose: questo per noi che non facciamo questo di mestiere, ma soprattutto per lui che lo fa e che deve avere a che fare con noi, è un lavoro molto faticoso. Poi comunque i risultati sono belli.

M: Ci ha fatto lavorare molto sull'intensità. La differenza fra i due tipi di lavorazione è un po' la stessa che passa fra la fotografia di posa e quella naturale: non c'è un meglio o un peggio, sono due cose diverse ma ugualmente valide. La bravura di Stefano è quella di creare delle pose che sembrino naturali, mentre Giorgio voleva catturare la posa giusta al volo, in maniera istintiva. Sono un sacco contento di aver potuto vivere entrambi questi tipi di lavorazione.

F: Il fatto che entrambi siano partiti da una base in presa diretta dice comunque molto sul nostro gruppo. Abbiamo sempre suonato in al “chiuso”, stanza cantina o sala prove, uno di fronte all'altro, e non usciamo da questa cosa: se suoniamo distanti non riusciamo a suonare. Infatti quando ci toccano dei palchi un po’ più grandi di 5mq facciamo cagare.

M: Ci siamo anche accorti di accordi che non suonavano bene solo al momento di registrare... (Ride)

F: Se stona è stoner! (Ride)

Com'è nata l'idea di “modificare” la canzone di Gino Paoli facendola diventare Il Cielo Senza Stanza? Ci sarà qualcosa del genere nel prossimo disco?

F: L'intenzione c'era, ma non c'è stato il tempo...volevo fare una canzone di Gaber, che è Far Finta Di Essere Sani, che ci stava a completamento di tutto quello di cui questo disco vorrebbe avere la pretesa di parlare. Il Cielo Senza Stanza è nata per caso, avevamo la musica ma la voce era solo provvisoria e provandola in sede di registrazione l'ho fatta cantandoci sopra proprio il testo di Gino Paoli ma alla velocità del pezzo nostro. Giorgio impazzì completamente, disse “no qui dobbiamo rivedere sto testo, qui deve uscire la grandine, grandine di qualsiasi tipo capisci?” (ride) Così nacque questa cosa che non voleva essere assolutamente dissacratoria, diciamo che è un omaggio particolare...

Avete dei testi molto particolari e “complicati” sotto un certo punto di vista: questa limita l'impatto live o la gente che canta sotto il palco ai vostri concerti c'è?

M: Premetto che anche io i suoi testi non li so tutti (ride). Ci è capitato comunque spesso di vedere gente che canta ai nostri concerti, si vede che si mettono lì booklet alla mano a studiarseli...ma proprio durante il concerto! (Ride)

F: Un po' come come quando vai a teatro a vedere l'opera, col libretto...(ride)

M: In realtà nemmeno lui stesso canta tutti i testi! Dal vivo la “livella” del gruppo, sia per i volumi che per la velocità, è Fulvio, il nostro batterista, che a seconda del grado d'importanza del concerto e della tensione prende le canzoni ad una certa velocità...di solito il doppio dell'originale. Siccome lui deve faticare parecchio per starci dietro, che di cose ne deve dire un sacco, alla fine ha fatto tipo un bignami del testo!

F: Effettivamente nel nuovo disco ci sono porzioni di testo più asciutte, perchè ho imparato la lezione! (Ride) Fulvio riducendo anche le strofe dal vivo mi toglie il tempo non solo per pronunciarle ma anche per prendere fiato... però è vero, capita di vedere qualcuno che durante il concerto “muove la bocca” per così dire!

Il tuo modo di scrivere è stato influenzato da qualcosa?

M: Dal treno, te lo dico io! (Ridono)

F: Forse è la verità perchè sul treno avevo un sacco di tempo per scrivere, da quando ho comprato la macchina scrivo molto meno!

Ho sentito l'album dei Francevskij (progetto di Francesco con Francesco Monaci dei Liberal Carme) e mi chiedevo se c'è qualche altro progetto al di fuori dei Dondolaluva che vi vede coinvolti...

F: Io trovandomi a Roma da ormai 5 anni non sempre riesco a suonare con loro certe cose che concepisco anche solo in fase embrionale, quindi c'è un repertorio di canzoni che sono nate chitarra e voce nei periodi in cui non c'incontravamo e che in parte non hanno funzionato quando li ho proposti a loro, visto che ovviamente il processo compositivo è una mediazione fra ognuno di noi. Non so se ci farò mai qualcosa ma diciamo che è comunque qualcosa di diverso rispetto a Dondolaluva. Altro non c'è in ballo, Francevskij è l'unica cosa che è capitata ed è andata in porto più che altro perchè l'abbiamo composto via mail, io scrivevo i testi e lui ci metteva le musiche...ci confrontavamo, in qualche occasione registravo un basso, è stato concepito nell'arco di due anni con tutta la calma del caso e non è detto che non vada avanti, proprio grazie a questa sua natura particolare.

A fine anno mi dicevate a cena che per varie vicissitudini il progetto Dondolaluva finirà. Se poteste scegliere un artista col quale suonare per chiudere degnamente la storia del gruppo?

M: Ce l'abbiamo. Pappalardo! (Ride)

F: Sì Pappalardo che canta L'Urlo Di Chen sarebbe veramente ganzo...

M: O anche Devono Morì. S'era anche pensato ad un featuring...


F: No seriamente son tanti i gruppi con cui si vorrebbe suonare...anche solo per farli riformare! A me vengono in mente i Fugazi che son dieci anni che si cerca di capire se son vivi o no. L'unica cosa che mi auguro è che questo disco arrivi alle persone a cui deve arrivare. Punto. Per cause personali a dicembre arriveremo al termine di tutta questa esperienza, e possiamo dire che ci sentiamo un gruppo “arrivato”: di solito si dice di una band che ha avuto successo, mentre noi non l'abbiamo mai neanche sfiorato. Eppure forse ci è arrivato più di quello che avremmo mai immaginato, vedi la collaborazione con Canali o il fatto di registrare in modo professionale in uno studio professionale con gente professionale... Siamo un gruppo che pensava di avere qualcosa da dire, che l'ha detto e che a qualcuno è arrivato. Pochi o no, valeva comunque la pena di farlo come l’abbiamo fatto. Se venisse riconosciuta una specie di autenticità in questo, ne sarei contento. Mi rimane un senso di malinconia, ma anche la soddisfazione del lavoro fatto e la consapevolezza che se per varie circostanze si fa fatica ad andare avanti è giusto che il progetto non sopravviva a sé stesso. Dopotutto grazie ai mezzi di oggi dal 2 di novembre il nostro lavoro sarà comunque a disposizione di chi avrà la curiosità di scoprire la nostra musica! Anche dopo che non suoneremo più.


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