Adam Ficek è un superstite. Ma è uno che sopravvive con stile; o per lo meno, è sopravvissuto – ed è andato anche oltre – quello che sono i Babyshambles, e l’ha fatto con classe.
Ficek non è un musicista come tanti. È uno che di musica se ne intende, e parecchio. E che la ama (suona ben sette strumenti). E questo si vede, soprattutto se divorzi da uno come Pete Doherty e il tuo lavoro poi brilla di luce propria, e sei riconosciuto come uno dei musicisti più interessanti della scena underground, sia che lavori dietro la postazione del dj nei club londinesi, che si tratti di fare musica propria. Roses King Castles è il progetto che si porta dietro sin dai tempi in cui si girava il mondo con i Babyshambles, di cui è diventato membro nel 2005.
Stordisco lo ha intervistato non tanto per dirci di come è andata con Pete (argomento ancora troppo vivo), ma per raccontarci un po’ di RKC (British Plastic Recensione) e della sua idea di musica.
Immagina di essere in un romanzo di Hornby (autore di Alta Fedeltà, Febbre a 90°, nonché grande esperto di musica). Descriviti in cinque canzoni.
A: Baby Lemonade - Syd Barrett, Sproston Green - Charlatans, Voodoo ray - Guy called Gerald, Song of a baker - Small faces, Heaven knows I'm miserable now - SMiths Qualche domanda generale.
Sei un’artista pluristrumentale. Quanti e quail strumenti suoni? Che musica ascolti di solito? A: Suono la chitarra, il basso, il pianoforte, vibrafono, la batteria, il registratore, l’armonica. Di solito ascolto Jazz.
Cosa c’è di nuovo in "British Plastic"? E’ un titolo interessante. Ci dici che la musica inglese non è morta ancora, nonostante se sono finiti i Babyshambles e i Gallagher. A cosa allude il titolo?
A: Non c’è niente di strano, la musica inglese esisterà per sempre. Il titolo si riferisce ai finti inglesodi o comunque all’industria musicale ‘plastica’ inglese. Riguardo sperimentazioni nella tua musica, British Plastic è un po’ come un mix di grandi nomi (Who, Kinks, Gang of Four) e nuove tendenze musicali, come dub, art rock etc.
A: Ho solo registrato quello che mi sembrava più semplice (natural). Non c’era nessun preconcetto nel fare se non quello che sentivo reale. Quindi cos’ha di diverso British Plastic da ciò che lo precedeva?
A: È decisamente più sporco e grezzo che tutto quello che è stato prodotto prima. Ero molto adirato al tempo, avevo bisogno di mandare a fanculo un po’ tutto (I needed a sonic finger up).
RKC è uscito fuori dal tuo bisogno di sperimentare qualcosa di nuovo ( e probabilmente si sarebbe allontanato dal genere dei Babsyhambles)? Era comunque un progetto laterale?
A: Avevo un sacco di canzoni da tirare fuori, perciò l’ho fatto da me. Si, è sempre stato un progetto laterale, inizialmente.
Ti ha portato problemi l’aver iniziato un progetto da solo? Con Doherty, ad esempio?
A: Forse, ma non ne ero del tutto cosciente al tempo. Preferisco non parlarne, è davvero molto doloroso per me.
Chi è l’artista per te? Cosa significa davvero fare musica?
A: È un bisogno. Tutto quello che vedo è gente che vuole diventare famosa a tutti i costi, la mia attività è un bisogno. Non voglio recitare, non m’interessa la fama. Voglio solo passare più tempo possibile a comporre e fare musica.
Cosa ne pensi dell’indie e della musica indie di oggi, a parte l’essere un fenomeno mainstream?
A: Per me Indie significa non essere tra i nomi di una grande casa discografica; ora come ora c’è un gran bel movimento indie in Gran Bretagna – che a livello pratico consiste in grandi nomi che danno vita a piccole case in modo da estendere la loro offerta musicale. Si attaccano direttamente alla fama dietro l’indie. E’ un mondo falso.
Sei stato definito quale indie. Tu cosa ne pensi?
A: Sono un artista indie puro. Solo, non per scelta, ma per non esser passato nel mondo di quella gente dei grandi nomi (n.b. major labels).
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