giovedì 27 ottobre 2016

Quando il basso non serve: intervista ai Muschio

L'ultima intervista per Stordisco l'avevo fatta un paio d'anni fa ai Valerian Swing, e proprio quella sera mi ero ritrovato a vedere di supporto una band che mi aveva fatto una grande impressione. Quella band erano i Muschio, e mi sembrava quindi doveroso ricominciare da dove avevo lasciato.


Siete partiti con l’idea di formazione attuale, con due chitarre e batteria, o l’assenza del basso è dovuta ad altre logiche?

Fabio: Abbiamo iniziato così, senza la sicurezza che potesse funzionare a livello di suoni. Io e Rino venivamo da un’esperienza precedente anche questa con la stessa composizione, i Leo Minor, ma con i Muschio siamo migliorati a livello di copertura di frequenze e ci siamo quindi accorti, supportati dai commenti positivi della gente ai nostri primi live, che il basso effettivamente non serviva. Avere anche il basso non manderebbe certo a monte il nostro lavoro, ma in tre abbiamo trovato il nostro equilibrio e non sentiamo quindi la necessità di allargare la formazione. Si viaggia anche meglio oltretutto!

Qual’è il significato del titolo del vostro ultimo disco, Zeda?

Fabio: E’ il nome della montagna più alta che sovrasta Verbania. Ci è parso subito un buon nome, anche se inizialmente doveva essere il titolo di una canzone.
Rino: All’inizio il titolo del disco doveva essere La Custre, che poi è diventato il nome di una delle canzoni inserite.
Alberto: Zeda però continuava a risuonarci in testa, ci suonava bene.
Rino: Siamo molto legati alle nostre zone, l’altro titolo richiama il lago e quindi casa nostra anche in questo caso. Avendo la fortuna di abitare in un luogo pieno di bellissimi paesaggi ci è sembrata una bella cosa omaggiarlo a questo modo.
Fabio: In più c’è una montagna anche nella cover del disco, quindi il cerchio si chiude.

Mi incuriosisce molto anche la cover: c’è stata qualche suggestione particolare dietro la scelta del soggetto o è tutta farina del sacco dell’autore?

Fabio: La cover è stata realizzata da Luca Solomacello, un grafico che lavora con tantissime band. Noi gli abbiamo solo detto cosa rappresentava lo Zeda del titolo, dopodiché lui si è entusiasmato all’idea della montagna e l’ha rappresentata col suo stile.
Alberto: Vedendola su vinile abbiamo anche scoperto ulteriori particolari, che dalle dimensioni del disco non si notano.
Fabio: Aveva realizzato un’altra cover in realtà, con la montagna meno in evidenza, ma negli ultimi giorni prima di consegnare tutto mi ha detto che voleva rifarla perché aveva avuto un’altra idea. Il giorno dopo avermi chiamato mi ha mandato quella che è diventata l’immagine definitiva, con questo paesaggio molto particolare e di cui siamo rimasti molto soddisfatti.

In Laboratorio Lacrime è presente in alcuni momenti la voce. E’ un esperimento che avete intenzione di fare nuovamente?

Fabio: E’ stata una cosa improvvisata, non penso che saremmo in grado di proporla dal vivo. E’ nata come idea per dare un qualcosa in più al disco, ma siccome nessuno di noi è un cantante od un urlatore abbiamo dovuto fare un po’ di prove.
Alberto: Si può considerare una specie di incipit del disco.
Fabio: Utilizzare qualche parola permette di manifestare un sentimento, dare l’idea di certe dinamiche…però non credo che faremo mai un pezzo intero con la voce. Preferiamo fra l’altro tenere il mistero attorno al proprietario della voce, non ci sembrava neanche il caso di metterlo sul disco…avevamo pensato anche ad invitare qualcuno di esterno ma sarebbe venuta una cosa troppo professionale e a noi piaceva l’idea di improvvisare!

Il legame con la vostra zona si nota anche nella scelta per la registrazione, visto che sia questa che il mixaggio sono avvenuti fra il novarese ed il verbano.

Fabio: Emanuele Navigli, che ha registrato e mixato il disco, vive a Domodossola per cui ancora più verso le montagne di noi. Ci siamo trovati bene con lui ed è venuto naturale quindi pensare di poter fare tutto rimanendo vicini a casa: siamo andati a registrare in una sala che conosceva a Paruzzaro, nel novarese, quindi l’ha poi mixato a casa sua.
Rino: Oltre ad essere un buon fonico è anche una persona ottima dal punto di vista umano, una caratteristica che a noi interessava molto visto che è fondamentale per poter lavorare bene.
Fabio: Si poteva pensare anche di fare le cose diversamente, con un produttore, ma si andava su altri livelli anche economicamente ed abbiamo preferito fare le cose in questo modo. Noi registriamo in presa diretta tutti nella stessa sala, con dei separé per ridurre al minimo i rientri nei microfoni e qualche sovra incisione per gonfiare un po’ la mia chitarra, questo ci permette di avere l’energia di un live su disco anche se comporta ovviamente dei piccoli svantaggi a livello di pulizia del suono. In tutto per la registrazione abbiamo impiegato un paio di giorni.
Alberto: Avevamo fatto anche una preproduzione prima della registrazione vera e propria, ed Emanuele è stato talmente bravo che suonava già quasi bene come un disco vero e proprio.
Rino: In questa maniera funzioniamo, magari in futuro si potrà pensare di fare le cose diversamente. Anche solo registrando sempre in presa diretta ma in stanze separate.

Come siete entrati in contatto con la vostra etichetta, Argonauta Records?

Fabio: Conoscevamo già un collaboratore dell’etichetta, Gabriele degli Infection Code, fra le varie etichette a cui abbiamo mandato il materiale c’era anche Argonauta ed è subito piaciuto. Ci troviamo bene, hanno un buon ufficio stampa ed in generale la consideriamo una buonissima etichetta con cui collaborare.

Siete appena stati in tour in Europa, toccando città come Berlino, Praga e Vienna. Come vi è sembrato il pubblico estero rispetto a quello italiano?

Alberto: dipende dalla situazione e dai posti.
Fabio: Suonando in settimana non c’era moltissima gente, quindi è difficile fare un paragone. Nel tour di tre anni fa all’estero, in cui avevamo suonato in alcune situazioni abbastanza grosse, avevamo notato una maggiore attenzione da parte del pubblico.
Alberto: Finito il concerto c’è stata molta gente che è venuta al banchetto a chiederci informazioni su di noi, se saremmo tornati ancora, cose così.
Fabio: C’è da dire anche che eravamo gli stranieri in tour, per cui la gente si immagina chissà che cosa e parte dell’attenzione deriva anche da quello. Qui essendo di casa c’è molta più sufficienza.
Rino: All’estero ti guardano allo stesso modo in cui noi guardiamo le band straniere che vengono dalle nostre parti in pratica.
Alberto: C’è molta attenzione per il tipo di genere però, che al nord va di più ed è facile da trovare anche in situazioni diverse dai locali adibiti esclusivamente alla musica dal vivo. A Praga abbiamo suonato in un pub che dopo le sei di sera cambiava completamente anima, ed abbiamo suonato con quattro gruppi hardcore.

C’è qualche gruppo, fra quelli con cui avete suonato o meno, di cui vi piacerebbe consigliare l’ascolto ai nostri lettori?

Rino: Per me assolutamente gli Appaloosa, parlando anche batterista. Ci abbiamo suonato insieme tre anni fa e sono ssolutamente un gruppo scuola.
Alberto: Recentemente direi i Fuzz Orchestra, che stanno girando molto e meritatamente. Hanno un batterista mostruoso, livello tecnico altissimo fra tutti. Fra le band con cui non abbiamo suonato invece direi i Calibro 35, perché per quanto facciano un genere molto diverso dal nostro hanno aiutato la musica strumentale ad arrivare a molte più persone.

Fabio: Mi piacciono molto andando più sull’estremo  gli Organ, gruppo doom di Belluno potente e non scontato. Anche i Cani Dei Portici, duo toscano, o i Legni Vecchi, altro duo più virato sull’emocore. Ci sono molti gruppi interessanti nel canavese, Ruggine, Glad Husbands, Ape Unit…la Vollmer come etichetta ha creato davvero una bella scena. 

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