L'ultima intervista per Stordisco l'avevo fatta un paio d'anni fa ai Valerian Swing, e proprio quella sera mi ero ritrovato a vedere di supporto una band che mi aveva fatto una grande impressione. Quella band erano i Muschio, e mi sembrava quindi doveroso ricominciare da dove avevo lasciato.
Siete partiti con l’idea di formazione attuale, con due chitarre e
batteria, o l’assenza del basso è dovuta ad altre logiche?
Fabio: Abbiamo iniziato così,
senza la sicurezza che potesse funzionare a livello di suoni. Io e Rino
venivamo da un’esperienza precedente anche questa con la stessa composizione, i
Leo Minor, ma con i Muschio siamo migliorati a livello di copertura di
frequenze e ci siamo quindi accorti, supportati dai commenti positivi della
gente ai nostri primi live, che il basso effettivamente non serviva. Avere
anche il basso non manderebbe certo a monte il nostro lavoro, ma in tre abbiamo
trovato il nostro equilibrio e non sentiamo quindi la necessità di allargare la
formazione. Si viaggia anche meglio oltretutto!
Qual’è il significato del titolo del vostro ultimo disco, Zeda?
Fabio: E’ il nome della montagna
più alta che sovrasta Verbania. Ci è parso subito un buon nome, anche se
inizialmente doveva essere il titolo di una canzone.
Rino: All’inizio il titolo del
disco doveva essere La Custre, che poi è diventato il nome di una delle canzoni
inserite.
Alberto: Zeda però continuava a
risuonarci in testa, ci suonava bene.
Rino: Siamo molto legati alle
nostre zone, l’altro titolo richiama il lago e quindi casa nostra anche in
questo caso. Avendo la fortuna di abitare in un luogo pieno di bellissimi
paesaggi ci è sembrata una bella cosa omaggiarlo a questo modo.
Fabio: In più c’è una montagna
anche nella cover del disco, quindi il cerchio si chiude.
Mi incuriosisce molto anche la cover: c’è stata qualche suggestione
particolare dietro la scelta del soggetto o è tutta farina del sacco
dell’autore?
Fabio: La cover è stata
realizzata da Luca Solomacello, un grafico che lavora con tantissime band. Noi
gli abbiamo solo detto cosa rappresentava lo Zeda del titolo, dopodiché lui si
è entusiasmato all’idea della montagna e l’ha rappresentata col suo stile.
Alberto: Vedendola su vinile
abbiamo anche scoperto ulteriori particolari, che dalle dimensioni del disco
non si notano.
Fabio: Aveva realizzato un’altra
cover in realtà, con la montagna meno in evidenza, ma negli ultimi giorni prima
di consegnare tutto mi ha detto che voleva rifarla perché aveva avuto un’altra
idea. Il giorno dopo avermi chiamato mi ha mandato quella che è diventata
l’immagine definitiva, con questo paesaggio molto particolare e di cui siamo
rimasti molto soddisfatti.
In Laboratorio Lacrime è presente in alcuni momenti la voce. E’ un
esperimento che avete intenzione di fare nuovamente?
Fabio: E’ stata una cosa
improvvisata, non penso che saremmo in grado di proporla dal vivo. E’ nata come
idea per dare un qualcosa in più al disco, ma siccome nessuno di noi è un
cantante od un urlatore abbiamo dovuto fare un po’ di prove.
Alberto: Si può considerare una
specie di incipit del disco.
Fabio: Utilizzare qualche parola
permette di manifestare un sentimento, dare l’idea di certe dinamiche…però non
credo che faremo mai un pezzo intero con la voce. Preferiamo fra l’altro tenere
il mistero attorno al proprietario della voce, non ci sembrava neanche il caso
di metterlo sul disco…avevamo pensato anche ad invitare qualcuno di esterno ma
sarebbe venuta una cosa troppo professionale e a noi piaceva l’idea di
improvvisare!
Il legame con la vostra zona si nota anche nella scelta per la
registrazione, visto che sia questa che il mixaggio sono avvenuti fra il
novarese ed il verbano.
Fabio: Emanuele Navigli, che ha
registrato e mixato il disco, vive a Domodossola per cui ancora più verso le
montagne di noi. Ci siamo trovati bene con lui ed è venuto naturale quindi
pensare di poter fare tutto rimanendo vicini a casa: siamo andati a registrare
in una sala che conosceva a Paruzzaro, nel novarese, quindi l’ha poi mixato a
casa sua.
Rino: Oltre ad essere un buon
fonico è anche una persona ottima dal punto di vista umano, una caratteristica
che a noi interessava molto visto che è fondamentale per poter lavorare bene.
Fabio: Si poteva pensare anche di
fare le cose diversamente, con un produttore, ma si andava su altri livelli
anche economicamente ed abbiamo preferito fare le cose in questo modo. Noi
registriamo in presa diretta tutti nella stessa sala, con dei separé per
ridurre al minimo i rientri nei microfoni e qualche sovra incisione per
gonfiare un po’ la mia chitarra, questo ci permette di avere l’energia di un live
su disco anche se comporta ovviamente dei piccoli svantaggi a livello di
pulizia del suono. In tutto per la registrazione abbiamo impiegato un paio di
giorni.
Alberto: Avevamo fatto anche una
preproduzione prima della registrazione vera e propria, ed Emanuele è stato
talmente bravo che suonava già quasi bene come un disco vero e proprio.
Rino: In questa maniera
funzioniamo, magari in futuro si potrà pensare di fare le cose diversamente.
Anche solo registrando sempre in presa diretta ma in stanze separate.
Come siete entrati in contatto con la vostra etichetta, Argonauta
Records?
Fabio: Conoscevamo già un
collaboratore dell’etichetta, Gabriele degli Infection Code, fra le varie
etichette a cui abbiamo mandato il materiale c’era anche Argonauta ed è subito
piaciuto. Ci troviamo bene, hanno un buon ufficio stampa ed in generale la
consideriamo una buonissima etichetta con cui collaborare.
Siete appena stati in tour in Europa, toccando città come Berlino,
Praga e Vienna. Come vi è sembrato il pubblico estero rispetto a quello
italiano?
Alberto: dipende dalla situazione
e dai posti.
Fabio: Suonando in settimana non
c’era moltissima gente, quindi è difficile fare un paragone. Nel tour di tre
anni fa all’estero, in cui avevamo suonato in alcune situazioni abbastanza
grosse, avevamo notato una maggiore attenzione da parte del pubblico.
Alberto: Finito il concerto c’è
stata molta gente che è venuta al banchetto a chiederci informazioni su di noi,
se saremmo tornati ancora, cose così.
Fabio: C’è da dire anche che
eravamo gli stranieri in tour, per cui la gente si immagina chissà che cosa e
parte dell’attenzione deriva anche da quello. Qui essendo di casa c’è molta più
sufficienza.
Rino: All’estero ti guardano allo
stesso modo in cui noi guardiamo le band straniere che vengono dalle nostre
parti in pratica.
Alberto: C’è molta attenzione per
il tipo di genere però, che al nord va di più ed è facile da trovare anche in
situazioni diverse dai locali adibiti esclusivamente alla musica dal vivo. A
Praga abbiamo suonato in un pub che dopo le sei di sera cambiava completamente
anima, ed abbiamo suonato con quattro gruppi hardcore.
C’è qualche gruppo, fra quelli con cui avete suonato o meno, di cui vi
piacerebbe consigliare l’ascolto ai nostri lettori?
Rino: Per me assolutamente gli
Appaloosa, parlando anche batterista. Ci abbiamo suonato insieme tre anni fa e
sono ssolutamente un gruppo scuola.
Alberto: Recentemente direi i
Fuzz Orchestra, che stanno girando molto e meritatamente. Hanno un batterista
mostruoso, livello tecnico altissimo fra tutti. Fra le band con cui non abbiamo
suonato invece direi i Calibro 35, perché per quanto facciano un genere molto
diverso dal nostro hanno aiutato la musica strumentale ad arrivare a molte più
persone.
Fabio: Mi piacciono molto andando
più sull’estremo gli Organ, gruppo doom
di Belluno potente e non scontato. Anche i Cani Dei Portici, duo toscano, o i
Legni Vecchi, altro duo più virato sull’emocore. Ci sono molti gruppi
interessanti nel canavese, Ruggine, Glad Husbands, Ape Unit…la Vollmer come
etichetta ha creato davvero una bella scena.
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