mercoledì 29 gennaio 2014

Always On Stage - Intervista ai Go!Zilla



Uscito per Black Candy Records nel tardo autunno dell'anno appena trascorso, "Grabbing a Crocodile" fotografa una band che sembra avere le idee chiare su quale debba essere la propria strada. 
E fisicamente di strada i Go!Zilla ne hanno fatta non poca dal 2012, anno in cui Luca Landi (chitarra e voce) da vita al progetto; moltissime infatti le date dal vivo che li hanno visti protagonisti, la metà delle quali all'estero, aprendo anche per band consolidate come Thee Oh Sees. Non ultima, la partecipazione al Primavera Sound Festival di Barcellona del 2013. Il loro esordio discografico non poteva suonare diversamente da un live set: euforico, irruente e coinvolgente come dev'essere del buon garage rock.
Li abbiamo raggiunti tramite posta elettronica mentre sono in partenza per un nuovo tour europeo.

Innanzitutto devo sinceramente farvi i complimenti per il vostro esordio discografico. Ma prima di chiedervi di "Grabbing a Crocodile" ci sarebbero le banalissime domande di rito, ovvero: come nascono e da dove vengono i Go!Zilla?
Grazie per i complimenti. I Go!Zilla nascono nel gennaio del 2012 dopo aver assorbito ed elaborato gli ascolti riguardo la crescente scena psych rock di Austin, TX. Dal gennaio del 2013 si aggiunge alla lineup Fabio Ricciolo come nuovo batterista e la band inizia ad acquisire un sound meno lo-fi, per certi versi piu 90's, fino ad arrivare all'aggiunta del terzo elemento, Mattia Biagiotti, altro chitarrista.

Viene abbastanza naturale accostarvi al garage rock, data la vostra miscela di punk, rock'n'roll, beat e psichedelia. È un'etichetta nella quale vi ritrovate del tutto? E quali sono i vostri maggiori riferimenti musicali?
Come si diceva nella precedente risposta, ci stiamo avvicinando, nella composizione dei nuovi brani, sempre più a un sound 90's piuttosto che al garage rock. Non ci piace porre categorie, e di solito tendiamo a definirci semplicemente rock'n'roll, ma se proprio ci dobbiamo dare un etichetta, tendiamo a scrivere quella simpatica definizione di "acid psychedelic punk" band.

Tornando a "Grabbing a Crocodile", il disco è indubbiamente molto influenzato dalla vostra intensa attività dal vivo. Ci raccontate qual è stata la sua genesi e qual è stata invece la vostra esperienza in studio di registrazione?
Grabbing...” è un album nato dalle ispirazioni cresciute ed evolute da "Go!Zilla Ep" sino al tour europeo di gennaio 2013 che ci ha portato per la prima volta in giro insieme con Fabio e durante il quale abbiamo scritto alcuni pezzi fondamentali quali Magic Weird Jack e la rielaborazione di "I Want Her". È stato registrato al Brick Studo di Zianigo, Venezia, completamente in analogico su nastro, compreso il missaggio. La scelta di registrare in analogico ha favorito la presa di un suono di chitarra sopra la media che ci rende molto soddisfatti. La stessa Magic Weird Jack è stata per metà concepita durante una session delle registrazioni.

Nell'album vi siete avvalsi di qualche collaborazione, immagino perché sentivate l'esigenza di arricchire il sound in determinati punti. Pensate che ci sarà spazio in futuro per un allargamento dei Go!Zilla?
Come dicevamo, da gennaio 2014 siamo definitivamente in tre. Mattia Biagiotti, ultimo arrivato, suonerà la chitarra, per ora una bellissima "SG" nera, supportato da una testa cassa Twin Reverb con una cassa 2x12 "Hope Lab" ben rifornita di basse talmente perfette che in certi brani userà la chitarra come basso, mentre in altri sarà una seconda chitarra a tutti gli effetti. Nell'album le collaborazioni con Andrea Mastropietro alle voci (Cantante/chitarrista dei The Vickers), Marco Biagiotti alle percussioni (batterista dei The Vickers) e Francesco Perini alle tastiere (tastierista dei The Hacienda) sono state sì fondamentali: sono tutti amici e grandi musicisti dell’attuale scena fiorentina.

Negli ultimi due anni vi siete esibiti ormai centinaia di volte, la metà delle quali all'estero. Quali sono le cose che vi hanno colpito di più viaggiando così tanto non solo in Italia ma in Europa in generale? Avete trovato situazioni più favorevoli di altre in termini di spazi e pubblico?
Ultimamente circolano alcune cattive voci riguardo le band italiane che suonano all'estero. Ovvero che l'estero sia un luogo dove si suona davanti a poca gente e non si riscuotano soldi... tutto ciò mi fa un po’ ridere considerato che grazie all'estero noi possiamo definirci musicisti "professionisti", nonostante tutta la fatica del caso. Le soddisfazioni che si ottengono varcando i confini nazionali per noi sono impareggiabili, sia in termini di numeri di pubblico sia di interesse verso la nostra band.

Sempre relativamente alla vostra vita on the road, vi andrebbe di raccontarci quale è stato, se c'è stato, il vostro momento peggiore, e quale invece il migliore, quello che definireste "magico"?
Il momento peggiore è stato durante il live a Santeramo in Colle (BA) per la serata di Halloween, dopo aver scoperto che il palco era una delle cose più brutte e ingestibili che avessimo mai incontrato in vita nostra. Durante il live un barista è addirittura salito sul palco per abbassarci il volume. A fine concerto potete immaginare quanto ci siamo incazzati. In Italia non esiste il rispetto e la concezione di cos'è realmente la musica live, o perlomeno questa concezione si è persa nel corso del tempo. Il momento più "magico"? Beh ce ne sono stati tanti, dall'accorgersi di aver fatto sold-out alla Mécanique ondulatoire di Parigi, al momento in cui ho ricevuto la conferma della nostra partecipazione ad alcuni festival... sogni della vita che si avverano, la musica è questo, nessuno di noi diventerà famoso, ma dentro di noi stiamo realizzando sogni che coltiviamo da anni!

Ora siete in partenza per un nuovo tour europeo mentre a primavera vi aspettano addirittura in Messico. Indubbiamente un risultato non alla portata di tutti. Quali pensate siano i vostri punti di forza e quali invece i limiti?
Il punto di forza è indubbiamente il lavoro, al mondo d'oggi ci sono centinaia di band che sgomitano per un posto su un palco, ma molti non sanno neanche da dove partire. Ci vuole programmazione, dedizione e fiducia nei propri mezzi, proprio per questo diciamo che non abbiamo punti deboli: non ci potete neanche più dire che manca il basso!

È facile presumere che anche il 2014 vi vedrà andare in giro parecchio. Oltre a questo, avete altri programmi per il futuro?
Cercheremo di suonare dappertutto! Ad aprile uscirà un Ep per l'etichetta francese Beast Records che sarà un ibrido tra "Grabbing a Crocodile" e alcuni inediti. Poi probabilmente un paio di split su 7" con altre band europee. Se ci seguite su www.facebook.com/gozillatheband, troverete tutte gli aggiornamenti! 





lunedì 13 gennaio 2014

A tutti, prima o poi, capita una giovinezza - Intervista ai Lantern.


Qui di seguito, un mio tentativo di far domande ai Lantern.
Potete cercare informazioni su questi giovincelli navigando in rete. (per esempio, qui o 
qui) Vi basti sapere che fanno musica, che “Diavoleria” è il loro album d’esordio (leggi qui la nostra recensione), che la disillusione e lo sconforto sono spesso pretesti per la reazione da cui nascono bellissime cose come questo disco; che grazie a gruppi come questo, ascoltare musica diventa una necessità senza tempo che fa rinascere, che svecchia o che porta pesi alla coscienza.


A tutti, prima o poi, capita una giovinezza.

Alle risposte: Daniele, Sergio (rispettivamente voce e chitarra) e Steve, tecnico del suono.


-ILARIA: Iniziamo dal principio. Vorrei sapere quando avete iniziato a far musica e con quale spirito. Quale sentimento ha fatto nascere i Lantern? Cosa vi ha “accesi”?

-LANTERN: A rispondere a questa intervista sono presenti Daniele, Sergio (rispettivamente voce e chitarra) e Steve, tecnico del suono. I Lantern si formano a Rimini nell'estate 2010 o 2009, non ricordiamo bene. Del percorso musicale di Luca Sorbini si sa poco: comincia a suonare la chitarra a 6 anni di età, a 12 scopre come accordarla.

-I: Geograficamente provenite dalla provincia di Rimini. Quanto ha inciso “nascere” in Italia? Cosa, a livello d’espressione musicale, è ostacolato e cosa invece riesce facilmente ad attecchire sul territorio? (naturalmente secondo le vostre esperienze e/o opinioni).

-L: Battisti ci piace molto, ma pensiamo sia più importante il luogo in cui si muore.



-I: Vi siete “esposti” con “Noicomete”: cinque brani, pubblicazione su cassetta, intensità assurda, artwork minimalista quanto interessante. Questo succedeva tra il 2010 e 2011. 2013: Diavoleria. Azzardo l’ipotesi di una base quasi biblica, nella sua accezione più laica possibile, però, come filo conduttore tra le due produzioni. “Mosè”, “Profeta”, la dannazione, il macigno, miracoli che non si vedono. Raccontatemi il disco: qual è il disegno definitivo tracciato dai suoni di “Diavoleria”?

-L: Ci sorprende e lusinga la tua esegesi, ma siamo costretti a contraddirti:i dischi vivono di una  totale indipendenza reciproca, non sono né analoghi né complementari. 
Qualche anno fa tentai di riportare alla mente tutti i libri che amavo sfogliare da piccolo. In particolare ricordavo uno strano libro dalle illustrazioni fantascientifiche, grandi vedute su paesaggi deserti, quasi prive di figure umane. Cercai quel libro a lungo, rovistando dappertutto, cercando su internet, chiedendo ai miei genitori e a chiunque altro potesse ricordarne il titolo o l'autore. Ero ormai ossessionato dal ricordo di quei disegni e mi resi conto che non avevo guardato nell'unico posto in cui  avrei potuto trovarlo davvero. Era sepolto sotto una pila di vecchi libri di scuola nella mia cantina, ma le illustrazioni non erano affatto come le ricordavo. Ci è venuta in mente una cosa che sosteneva Ernst Jentsch a proposito degli automi: abbiamo capito che il passato è un marchingegno o una coda di lucertola, che seppur recisa continua, diabolicamente, a vivere.

-I: "Inferno a rotta di collo", il singolo proposto in apertura dell’album, ci dà una nuova definizione della nostra generazione: siamo astro-ingegneri che costruiscono varchi siderali ed edificano mondi: è una via di fuga o una dote da coltivare, questa?

-L: Mio padre era un grande fan de "Le Orme", mi sono sempre chiesto come conciliasse la sua fede politica di destra a detrminati ascolti. Non ci è chiaro, peraltro, come la saga del Signore degli Anelli possa essere diventata un emblema culturale destrorso. A volte si fugge, a volte si resta... a tutti prima o poi capita una giovinezza. 



-I: Collegandomi a quanto detto prima, torna più volte il tema “dell’invenzione”, dell’improvvisazione, nella fedeltà e nella fiducia, di un “altro mondo”, in cui l’amore salva e la diffidenza rende soli. Creare, far nascere la musica, equivale a raccontare gli errori, ad analizzarli o a risolverli attraverso il loro stesso racconto che diventa poi, un riassunto di storie universali? 

-L: Una sera eravamo noi tre, a Rimini, nell'auto di Sergio, avevamo fumato. Steve se ne era appena andato, ma io ho continuato per alcuni chilometri a credere che fosse ancora con noi. Mi rendevo conto che fosse già sceso da un po',  ma non riuscivo a prenderne davvero atto: ero in imbarazzo. Steve, come tutto il resto, non sai mai se c'è o non c'è. 



-I: La tracklist di Diavoleria è composta da otto tracce: attribuite ad ogni canzone un’immagine, una parola, un concetto che la riassuma.

Inferno a rotta di collo - Un gattino in un museo.
Il segreto delle ragazze - Un angelo alla mia tavola.
Blek Macigno - Lancia Fulvia.
Mucchio d'ossa Copperpot - Un d20 e 'na pizz'.
Antonio -Storie del Bosco.
Siberia -Una vecchia moto.
L'invincibile S50 - Macchine lavorazione legno vetro plastica marmo metalli SCM Group. 
Profeta - Persone favorevoli al formaggio greco.

-I: Quanto è importante il live per i Lantern?

-L: Suoniamo male insieme, non bene da soli.



-I: Coniate un “genere musicale” che vi renda unici, ditemi qualcosa sulla vostra musica, che possa caratterizzarvi senza paragoni e/o riferimenti ad altro, nella “scena”, un sinonimo di Lantern, insomma.

-L: Ah, noi praticamente facciamo un casino della madonna e poi a un certo punto... BAM, BAM BAM BSHHHHHHHH KCRSHHHHHHHHH 



-I: Mi piace la scelta di Blek Macigno, come titolo. Riferimento al fumetto, ai boschi, alla semplicità delle sole forze umane. Ciao supereroi, insomma. Siete voi, Blek Macigno?

-L: Non noi...mio padre. Era il suo nome in codice CB.

-I: Tre etichette: V4V / Fallo Dischi / Flying Kids: vi sentite coccolati? Qual è il vostro obiettivo ultimo come band? Sempre che ce ne sia uno.



-I: Oh ragazzi, arrivederci. Siete fantastici e poche chiacchiere.

-L: Ciao, è stato un piacere.

Diavoleria dei Lantern in free download qui: http://bit.ly/1cunuTR

sabato 11 gennaio 2014

Tired of getting wasted every day - Intervista con i Joan of Arc - Teatro di Figura (Perugia), 02/12/2013


Foto di Valeria Pierini
Abitualmente accade di aggirarsi al tramonto in un locale ancora vuoto, o tra le sedie abbandonate del bar non ancora preso d’assalto dagli avventori assetati; le interviste al calar del sole rivelano il volto sopito dell’intrattenimento notturno, ma non in questo caso: nel Teatro di Figura della mia città gotica mi sento singolarmente a mio agio, circondata dalle marionette che abitano lo spazio altissimo dell’invisibile dietro le quinte. Così, seduta proprio al centro tra la gommapiuma di nasi enormi e occhi spropositati che sembrano uscire dalle pareti, esordisco diretta con Tim Kinsella: “Vi ho visto tre anni fa a Umbertide. Cosa dovrei aspettarmi dal concerto di stasera?”
Per noi è molto insolito suonare uno show in cui il pubblico è seduto, succede forse due volte l’anno; questa è la prima e importante cosa in comune con…” esita prima di cimentarsi con l’italiano “Umbertide”. “Perfetto”, tento di rassicurarlo tra le risate dei presenti. “La grande differenza è il nostro quarto membro: in quel periodo avevamo due chitarre, e io facevo tutte le parti vocali; ora abbiamo due cantanti e io faccio tutte le parti di chitarra. Siamo sempre stati una band molto elaborata, con molte informazioni durante tutto il tempo; è come se ci fosse più spazio nella musica ora. Suono ancora in un’altra band con il precedente chitarrista; la musica dei Joan Of Arc è graziosa, comunque strana ma con canzoni piacevoli, l’altra band è più tecnica, con chitarre più complesse”. “Quindi pensi che ‘graziosa’ sia una definizione appropriata per la tua musica?” “Ho detto ‘graziosa e strana’”, precisa tra nuove risate. “Direi anche triste e stramba, perché è così che mi sento la maggior parte del tempo, triste e strambo. Quindi so che sto riuscendo, se le mie canzoni sono tristi e strambe”.
Foto di Valeria Pierini

“Ho letto che il vostro ultimo disco è stato concepito e realizzato in collaborazione con Every House Has A Door. Come è stato lavorare con loro?”  Ma ora sembra che lui voglia intervistare me e verificare il mio grado di preparazione: “Sai qualcosa su di loro e su quello che fanno?” “Sì, ho letto qualcosa riguardo la performance”. Dopo essersi accertato che ho studiato abbastanza, è disposto a rispondere: “Eravamo già amici e loro prima sono stati una sorta di mentore creativo per noi; è molto positivo che siano tutti più anziani di noi. È molto strano invecchiare ma continuare a essere creativi in qualche modo; perché per molta gente c’è questo tipo di idea diffusa, per cui o diventi molto famoso e fai un sacco di soldi, o ti fermi. Ma noi amiamo davvero il processo creativo, e quindi continuiamo. Ma c’è ques’idea che per essere creativo devi essere…” “Giovane e selvaggio” sorrido io. “Selvaggio e insano, malato… E Every House Has A Door, sai, loro hanno sessant’anni, e hanno ancora così tanta energia creativa e voglia di osare”. “L’opposto dello stereotipo comune...” “Sì, loro dimostrano che puoi essere creativamente coraggioso, eppure comunque porti in modo umile nei confronti del mondo”. “Questo è molto interessante. Ho intervistato Lydia Lunch qualche settimana fa, e le ho chiesto della relazione tra il crescere e l’invecchiare e la creatività, soprattutto in riferimento allo stereotipo dell’artista giovane e…” “… derelitto”. “E lei ha risposto che, nonostante la sua età, lei si sente estrema esattamente com’era da giovane”. “Per me non è interessante”. Tim concorda con me che, rispetto all’attività artistica, non è questo il punto.  Sono stanco di devastarmi ogni giorno. Mi piace ubriacarmi qualche volta, e qualche volta mi piace non essere ubriaco”. Con il suo dimesso riserbo, Tim sembra voler rivendicare una normalità ben lontana dall’esaltazione dell’eccezionalità, e mi offre un esempio di artista che prende le distanze dagli stereotipi diffusi.
“Tornando al discorso su Every House Has A Door, cosa accade quando due diverse esperienze estetiche – musica e arte performativa – si incontrano?”
La performance è di un’ora e quaranta minuti, e ogni volta che lo facciamo dura sempre esattamente lo stesso, può essere più lunga solo di un paio di secondi, ogni singolo momento segue il copione in modo stretto. Nella musica è diverso. Molti music fan, venuti alla performance, sembrava non sapessero come sentirsi o come reagire, mentre molti seguaci dell’arte performativa sembrava non sapessero come comportarsi nei confronti di questa band. Era come se ognuno pensasse ‘Io di solito non vedo cose di questo genere’. Era imbarazzante e strano per tutti” “Anche per voi?” “Sì certamente, abbiamo passato due anni a lavorarci, ho avuto tempo per riordinare le idee su questo; soprattutto facendo la performance per un’ora e quaranta tutte le sere, richiedeva molta concentrazione, è stato molto intenso”. “E come è cambiata l’esibizione, ora che suonate autonomamente rispetto alla performance?” “Abbiamo messo così tanta concentrazione nella performance, che ora ci sentiamo estremamente liberi. In genere nei club dove si esibiscono rock band cerchiamo di suonare un po’ di canzoni più rumorose, mentre stasera suoneremo brani più tranquilli, per il fatto che il pubblico è seduto. Ogni giorno cambia, in qualche modo”.
“Per quanto riguarda il vostro ultimo disco, il processo di scrittura è stato condizionato dalla collaborazione con Every House Has A Door?”
Sì, è stato molto diverso. Le canzoni non sono state registrate secondo il criterio abituale, cosa suona bene, ma considerando cosa era appropriato alla performance; quindi lo standard da soddisfare era molto, molto differente”.

Foto di Valeria Pierini
L’umiltà di Tim Kinsella si traduce nell’intermittenza dello sguardo, che vaga tra il pavimento e le pareti e solo a tratti si rivolge me, ed è confermata da affermazioni disarmanti. “Sebbene voi siate una band ‘di nicchia’ e non abbiate mai raggiunto un successo notevole, avete influenzato molti giovani musicisti. Come vi sentite rispetto a questa contraddizione?”
Non so… sento davvero poco legame con molte band che ascolto”. “Non pensi che abbiate avuto quest’influenza?” “Penso che tu mi stia confondendo con qualcun altro”, smentisce ridendo. “Non sento grandi affinità con le band contemporanee”.  La sua ritrosia mi costringe a confessare la fonte dell’interrogativo: “In realtà questa domanda mi è stata suggerita da un mio amico di circa vent’anni, che verrà stasera e vi apprezza molto. Gli ho domandato ‘cosa pensi dovrei chiedere loro?’ e questa era la sua curiosità, com’è per voi essere così influenti”. "Ok, ma io non penso che sia vero. Forse è vero per il tuo amico...” conclude benevolmente tra nuove, timide risate.
Se l’arte diventa questione di tentativi, vicende umane e incontri, lontana dagli eccessi e consapevole dei propri limiti, anche le marionette onnipresenti sembrano ora meno estranee, rivelando la finzione nella sua inconsistenza.

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